Effetto Omicron: la Venezia-fantasma che sa di lockdown. Si punta tutto sul Carnevale

Mercoledì 12 Gennaio 2022 di Davide Scalzotto
A Venezia ci sono tantissime attività chiuse a metà gennaio
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VENEZIA - D’accordo, è gennaio ed è inizio settimana. Ma la sensazione di una Venezia “fantasma” di questi giorni colpisce più di quanto abbia mai colpito nei mesi di gennaio degli anni pre-pandemia. Allora, fino a due anni fa, lo si sapeva: i veneziani che vivono col turismo approfittavano dei giorni tra le feste di Natale e il carnevale per tirare il fiato, chiudere bottega un paio di settimane, andare a loro volta in viaggio. I residenti ne approfittavano per godersi una città diversa, meno caotica, più “città”, prima della caciara selvaggia di Carnevale.
Oggi questa consapevolezza è guastata da una malinconia diversa, meno romantica. Più negozi chiusi del solito, serrande abbassate (spesso deturpate da scritte e graffiti che offendono la bellezza secolare della città e i suoi artefici), la percezione di una fredda assenza umana, più che di una discreta e confortevole presenza. Se nel lockdown del 2020 all’inizio c’era stato chi aveva perfino magnificato una Venezia godibile perché vuota, poi ci si è via via resi conto che dietro al “romanticismo dell’assenza” c’è l’angoscia di un’economia sempre più difficile da far ripartire, a livello si singole aziende e di sistema.

 


TESSUTO SFILACCIATO
Oggi che il lockdown imposto non c’è più, di fatto resta una città che mostra ciò che rimane quando la marea turistica si ritira: un tessuto urbano e sociale sfilacciato, di cui le serrande abbassate e graffitate sono la mesta raffigurazione. Tenacemente resistono musei visitabili, teatri attivi, locali aperti, ma il fatto stesso che Venezia non abbia un centro storico ma sia considerata essa stessa nel suo complesso “centro storico” aumenta il senso di sfilacciamento, di una comunità fatta di tante isole.
Non c’è solo San Marco come termometro di questa situazione. A Rialto, ad esempio, la zona commerciale “storica”, questa sensazione si amplifica sempre di più: basta il tratto tra la Pescheria e San Bortolomio. Dove le serrande abbassate, per un motivo o per l’altro, sono tante. Spesso di attività di servizio alla residenza. Quando si ritirano i turisti, insomma, la città rende un’ immagine evanescente. Che fa riflettere per il presente, ma anche per il futuro.
LE ANALISI
Fotografa la situazione Claudio Scarpa e con lui tre direttori di grandi hotel che vivono in centro storico. «Veniamo - spiega Scarpa - da un fine anno con un tasso di occupazione al 60 per cento e a fare le spese del calo del turismo di gennaio è soprattutto Mestre, dove alloggiamo i gruppi (mentre Venezia è più per un turismo individuale). Del resto chi se la sentirebbe oggi di viaggiare in gruppo con 50 persone? Ma al d là del turismo, è assolutamente vero che Venezia sta vivendo un gennaio difficile. Se negli anni pre pandemia le settimane dopo Capodanno erano di riposo, di stacco, quest’anno la sensazione è che molte attività abbiamo deciso di chiudere per motivi economici, legati ai costi e a una maggiore assenza di clientela. Prima si diceva che Venezia moriva di turismo, ora scopriamo una città che muore per assenza di residenti e anche di certo tipo di turismo». 
«Certo - prosegue Scarpa - va fatta una analisi obiettiva per dire che in si è puntato troppo solo su un tipo di turismo ma ora, tra primo lockdown e questo gennaio particolare, emerge lo sfilacciamento del tessuto sociale veneziano.

Molti dipenderà dagli aiuti che arriveranno (siamo fiduciosi) dal governo per le aziende, molto anche da come si ripartirà con Carnevale. Certo, Omicron contribuisce ad aumentare i timori di chi deve viaggiare, ma a questo punto anche l’Italia dovrebbe porsi il problema, come Regno Unito e Spagna, di cambiare atteggiamento nei confronti del virus: se considerarlo enedemico e non pandemico, di occuparsi di chi si ammala più che di chi si contagia. È una riflessione che a mio avviso bisogna fare».


E di “effetto Omicron” parla anche Pierpaolo Cocchi, direttore dell’hotel Papadopoli: «Veniamo da un fine d’anno sui livelli degli anni precedenti - dice - anche se paghiamo i restanti mesi del 2021. C’era stata una ripresa ma con gennaio, al di là del fisiologico calo che si è sempre registrato, abbiamo assistito certamente a un “effetto Omicron” che ha condizionato gli arrivi in città, ma anche la vita della città stessa. C’è un clima di attesa per vedere se a Carnevale ci sarà un ritorno e una riapertura generalizzata, ma la sensazione che questo gennaio sia stato particolarmente spento c’è».


OBIETTIVO CARNEVALE
«Dopo le prime ondate della pandemia e il lockodwn ci sono state attività che hanno chiuso - conferma Paolo Lorenzon, direttore dell’hotel Gritti - Ora a gennaio ci sono chiusure temporanee legate al periodo di bassa stagione, però si avverte più prudenza e più attesa, anche per Carnevale. Le richieste ci sarebbero, ma la gente vuole capire cosa succederà nelle prossime settimane, come si potrà viaggiare. Omicron ha aggiunto nuova incertezza».
Paolo Morra, direttore del Centurion, conferma la sensazione da veneziano: «Sembra per certi versi di vivere un secondo locdown, è vero. Girando per Venezia si vede meno gente, si notano più serrande abbassate rispetto ai mesi di gennaio degli altri anni. Da veneziano l’ho notato anche io, lo hanno notato i miei collaboratori: l’atmosfera pare quella delle prime chiusure. Carnevale sarà un po’ il banco di prova per valutare come si potrà ripartire, c’è attesa per questo. Il sindaco ha annunciato che si farà e questo è un segnale positivo». 
Venezia, insomma, vive un dilemma: da una parte non vuole più essere soffocata dal turismo, ma dall’altra ne rimpiange la presenza (come in una sorta di crisi d’astinenza da una droga). Se la prima parte era già nota, la seconda è stata una scoperta scaraventata in faccia dalla pandemia. Ed è da qui che si dice si debba ripartire, perché non è detto che da quel mercato drogato non si possa guarire.

Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 11:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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