Scandalo Mose, 3 ex ministri in aula
«Da Milanese nessuna pressione»

Sabato 21 Novembre 2015 di Gianpaolo Bonzio
Scandalo Mose, 3 ex ministri in aula «Da Milanese nessuna pressione»
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MILANO - Ha chiamato in aula una serie di ex ministri affinché testimoniassero, che lui, Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti e imputato a Milano per il caso Mose, non avrebbe mai potuto interferire sul Cipe per fare in modo, come sostiene l'accusa, di destinare circa 400 milioni, che altrimenti sarebbero finiti al Sud Italia, al Consorzio Venezia Nuova per le dighe in laguna in cambio di 500mila euro. Così ieri sul banco dei testimoni si sono alternati Altero Matteoli, Maurizio Sacconi e Claudio Scajola.



L'allora ministro delle infrastrutture, sentito come teste assistito in quanto anche lui indagato ma a Venezia, ha spiegato che Milanese, ai tempi deputato del Pdl, «non è mai intervenuto» con lui "per sollecitare il finanziamento del Mose". Sacconi, nel 2010 ministro del Lavoro, ha parlato poco sul caso Mose «perché non ho avuto a che fare direttamente con questa materia», mentre Scajola, ex ministro dello Sviluppo economico, ha ricordato come «funziona» il Cipe. e Milanese non vi aveva alcun ruolo.

Intanto ieri il giudice Andrea Comez ha depositato l’ordinanza con la quale ha ammesso solo 7 dei 18 soggetti che volevano costituirsi parte civile per il processo lagunare sul Mose. «L’interesse ad agire deve avere i caratteri della concretezza e dell’attualità, in modo tale - scrive il giudice - che senza l’intervento dell’autorità giudiziale l’attore subirebbe un danno». Sull’esclusione degli ambientalisti Comez sostiene «che il pm non ha ipotizzato danni ambientali a carico degli imputati, dalle condotte criminose non sono derivate condizioni di degrado dell’ambiente nè pregiudizi all’immagine delle associazioni». Tra i soggetti ammessi, invece, ci sono Presidenza del Consiglio, ministero delle Infrastrutture, Regione, Città metropolitana e Comune. «La Presidenza del consiglio è legittimata per il risarcimento del danno al buon andamento della pubblica amministrazione». Anche la Regione ha titolo «sia per sviamento della funzione sia per il coinvolgimento nella fattispecie criminosa di un funzionario». L’ammissione del Comune di Venezia è dovuta in quanto i reati "avevano come finalità quella di alterare la condizioni di trasparenza delle operazioni elettorali. C’è un danno di immagine e un potenziale pregiudizio economico all’economia della città dalla notizia delle irregolarità asseritamente riscontrate in relazione all’elezione della massima carica cittadina».
Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 07:26

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