Francesco Maria Piave, poeta e direttore de La Fenice, librettista di fiducia di Verdi

Mercoledì 3 Giugno 2020 di Alberto Toso Fei
Francesco Maria Piave, illustrazione di Matteo Bergamelli

VENEZIA - Fu il librettista più fedele alla musica di Giuseppe Verdi, per il quale scrisse dieci libretti – fra cui “Il Rigoletto” e “La Traviata” –, ma fu anche giornalista e traduttore, poeta ufficiale e impresario del Teatro La Fenice, per poi trasferirsi a Milano e ripercorrere la stessa carriera alla Scala; eppure, sebbene ricca di successo, la vita di Francesco Maria Piave non fu esattamente felice e si concluse in maniera drammatica.

Nato a Murano durante il periodo napoleonico il 18 maggio 1810 da Giuseppe Piave – industriale del vetro e in quel momento podestà dell'isola – e da Elisabetta Casarini, per volere del padre avviò gli studi in seminario interrompendoli però a diciassette anni, nel 1827, per seguire la famiglia prima a Pesaro e poi a Roma dove si formò agli studi umanistici: negli anni trascorsi sulle rive del Tevere entrò a far parte di due Accademie, quella dell'Arcadia e la Tiberina, stringendo amicizia con diversi letterati fra cui Giuseppe Gioachino Belli, che gli dedicò un sonetto.

Nel 1838 la sua vita subì una svolta traumatica: la morte del padre impose il ritorno a Venezia dell'intera famiglia. Francesco Maria Piave finì sotto l'ala protettrice del tipografo Giuseppe Antonelli, che iniziò a farlo lavorare come revisore e correttore di bozze ma per il quale iniziò ben presto a tradurre alcune opere; fu un crescendo che lo portò – il 30 marzo 1840 – ad avviare una collaborazione con la “Gazzetta privilegiata di Venezia”, per la quale scrisse numerosi articoli, soprattutto di critica d'arte.

L'anno successivo iniziò l'esperienza di librettista: “Con tutta la modestia di un Debutante – scrisse all'amico letterato romano Jacopo Ferretti – sto cavando un libretto buffo dalla 'Bottega del caffè' di Goldoni”. In realtà quel lavoro – pensato per il compositore Samuel Levi – rimase alla fine inedito mentre fu rappresentato il successivo, “Il Duca d’Alba” di Giovanni Pacini, che debuttò al Teatro La Fenice nel 1842. Quello stesso anno Piave divenne direttore degli spettacoli del teatro veneziano.

Per Pacini e per molti altri musicisti – come Saverio Mercadante, Federico Ricci, Michael Balfe – scrisse poi altri testi d'opera (alla fine saranno ben settanta i libretti prodotti), ma nulla potè eguagliare ciò che accadde dal 1844 in poi quando con il libretto di “Ernani” (opera che debuttò proprio al Teatro La Fenice il 9 marzo di quell'anno) il veneziano iniziò la sua collaborazione con Giuseppe Verdi, iscrivendo di fatto il suo nome nella storia della musica mondiale; nel 1848, anno cruciale dei moti rivoluzionari che scossero l'Europa e che lo videro impegnato con ruoli minori nel Governo Provvisorio, Piave fu nominato poeta ufficiale della Fenice. Nel frattempo fra i due era nato un sodalizio inscindibile, destinato a durare nei decenni, che assieme a “I due Foscari”, al “Macbeth” e a “Simon Boccanegra” diede vita a opere intramontabili come “La Traviata” e “Il Rigoletto”.

Nel marzo del 1859 si trasferì a Milano, dove l'anno successivo divenne poeta e direttore di scena del Teatro La Scala. Nel frattempo – il 15 gennaio 1855 – si era sposato con la cantante lirica goriziana Elisa Gasparini, conosciuta durante una audizione, e aveva avuto la figlia Adelina, destinata a calcare le scene ripercorrendo le orme materne.

Una vita di soddisfazioni, a dispetto del basso salario (130 lire, meno di un tenore), ma anche di fatica (dieci mesi l'anno contro i quattro di Venezia, con la cura della messinscena che si aggiungeva alla stesura del testo verbale); per questo nel 1865 tentò di ottenere la cattedra di letteratura drammatica e declamazione al Conservatorio di Milano, ma la sua domanda fu respinta.

Deluso ed esaurito, due anni più tardi Francesco Maria Piave fu colpito da un attacco apoplettico che lo paralizzò, impedendogli anche di parlare; Giuseppe Verdi non lo abbandonò: nel 1868 promosse con Ricordi un “Album” firmato da diversi compositori i cui proventi andarono a sostegno di Piave e della sua famiglia. E quando il veneziano morì diversi anni dopo, il 5 marzo 1876, pagò di sua tasca il funerale e la sepoltura al Cimitero Monumentale di Milano, dove riposa ancora oggi.

(Illustrazione di Matteo Bergamelli)

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