Giorgio Franchetti, riportò la Ca' d'Oro al suo splendore, ma si suicidò prima della fine del lavoro

Lunedì 11 Maggio 2020 di Alberto Toso Fei
Giorgio Franchetti (1865-1922) visto da Matteo Bergamelli
Giorgio Franchetti (1865-1922), collezionista e mecenate

Dipinti, statue, bronzi, bassorilievi, affreschi creati dalle mani di Jacopo Sansovino, di Tiziano, di Van Dyck e Paris Bordon, dei Lombardo e di Andrea Mantegna. Tutti raccolti in quello scrigno di tesori immensi che è la Ca' d'Oro, essa stessa gioiello indiscusso del gotico veneziano e uno dei palazzi più conosciuti sul Canal Grande. Un insieme di arte, cultura e architettura che va necessariamente insieme, perché quell'incredibile raccolta di nomi, colori, arti e saperi fu messa assieme e voluta per quel luogo grazie alla passione di Giorgio Franchetti, che non solo investì il suo patrimonio per acquistare e in qualche caso far tornare a Venezia delle opere di valore incalcolabile, ma non esitò a impegnare il suo tempo, le sue energie e la sua stessa persona per riportare la Ca' d'Oro – deturpata da secoli di rimaneggiamenti – al suo splendore originario.

A cominciare dall'incredibile mosaico dell'androne, per comporre il quale si fece spedire marmi preziosi da ogni parte del mondo ma soprattutto trascorse intere settimane inginocchiato, con due suole delle scarpe legate alle ginocchia per proteggersi; una attività nella quale non esitò a coinvolgere gli amici: Gabriele D'Annunzio ricorderà a lungo di essere stato inginocchiato anche lui, di fianco a Franchetti, a sistemare tessere su quel pavimento.

Terzo figlio del barone Raimondo Franchetti e di Sara Luisa Rothschild, nacque a Torino il 18 gennaio 1865 e terminati gli studi all'Accademia militare di Torino – in disaccordo col padre che avrebbe voluto che si dedicasse alla cura degli affari di famiglia – si trasferì col fratello Alberto in Germania; a Monaco conobbe la giovane baronessa Maria Hornstein Hohenstoffeln, che sposò nel 1890. Fu in quel periodo che – sebbene in condizioni economiche non floride – iniziò a manifestare il suo interesse per l'arte effettuando i suoi primi acquisti. Lo stesso anno del matrimonio decise di trasferirsi a Firenze per seguire le lezioni di musica di Giuseppe Buonamici, per tornare a Venezia nel 1891 dopo la nascita del primogenito Luigi. Se la casa di famiglia era quel palazzo Franchetti all'Accademia, lui se ne tenne presto lontano.

Nel 1894 si convinse ad acquistare la Ca' d'Oro – per 170mila lire – che all'epoca versava in condizioni di fatiscenza, e la trasformò nel sogno della sua vita: fin dal principio il suo scopo non fu quello di trasformarla nella sua abitazione, ma di ospitarvi la propria collezione di opere d'arte per renderla visitabile al pubblico, impegnandosi nell'impresa di restituire all'edificio l'originario aspetto quattrocentesco. Recuperò a Parigi e riportò alla Ca' d'Oro anche una bellissima vera da pozzo di Bartolomeo Bon, scolpita nel 1427.

Lo sforzo economico per il restauro fu immane, e Franchetti sospese l'impresa per alcuni anni, fino al 19 maggio 1916 quando stipulò un accordo con lo Stato, che lo affiancò nell'opera in cambio della donazione della Ca' d'Oro e delle sue collezioni. Ripresi con slancio i lavori, Franchetti acquistò l'attiguo palazzo Duodo con l'intenzione di posizionarvi gli uffici e i servizi del Museo e dove egli stesso andò ad abitare. In questo percorso, assieme a quelli di Gabriele D'Annunzio, si avvalse dei suggerimenti di Mariano Fortuny.

Assieme al pavimento del pianterreno, composto adoperando marmi romani antichi originali, Giorgio Franchetti non smise di incrementare la sua collezione: alla Ca' d'Oro approdarono – tra gli altri – capolavori come “La Venere allo specchio” di Tiziano e la “Venere dormiente” di Paris Bordon; la “Madonna del bacio” di Jacopo Sansovino e due vedute di Francesco Guardi; due dipinti di Anton van Dyck e un meraviglioso San Sebastiano, per ospitare il quale il barone non esitò a far costruire una cappella ornata di marmi.

La “Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro” fu completata e integrata di altre opere per essere inaugurata ufficialmente il 18 gennaio 1927. Ma Franchetti non vide la fine del suo lavoro: gravemente malato, si era ucciso con un colpo di pistola nel proprio letto cinque anni prima, alle 6 del mattino del 17 dicembre 1922. L'anno successivo le sue ceneri furono riposte tra i marmi dell'androne della casa sul Canal Grande che aveva tanto amato.
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