Mestre. Moschea di via Piave, Venturini: «Rispettiamo le regole, lì non possono pregare 500 persone»

Domenica 21 Maggio 2023 di Fulvio Fenzo
Simone Venturini sulla moschea di via Piave

MESTRE - «Il diritto di culto? Nessuno lo mette in discussione, e non serve l'ennesimo gruppo o comitato a ricordarcelo.

Per noi l'articolo 19 della Costituzione è sacrosanto, ma ciò non vuol dire che si possa fare quello che si vuole e dove si vuole».

Simone Venturini, assessore alla Coesione sociale, sul caso della moschea di via Piave l'amministrazione è stata chiamata in causa dalle minorane (finora non dal Pd, però) ed anche dal gruppo interreligioso "Articolo 19". Non si poteva fare qualcosa prima dell'ordinanza di stop?
«Rivendichiamo la scelta di aver fatto rispettare la legge. Qualcuno forse avrebbe preferito che chiudessimo un occhio? Magari anche sì, tranne poi al primo incidente invocare - accusandoci - i mancati controlli. Qui è in gioco la sicurezza, perché un ex supermercato non può diventare un luogo di culto in cui entrano 500 persone, senza dimenticare il fatto che la convivenza va di pari passo anche con il rispetto delle funzioni della città».

Avete applicato le regole, insomma.
«Certamente. Ci sono norme ben chiare e non si possono trasformare locali inadatti in centri di culto chiamandoli "centri culturali". Questo vale per gli islamici come per gli evangelici, gli ortodossi, i cattolici... Chi cerca di mettere in contrapposizione l'amministrazione con le comunità religiose sbaglia alla grande, perché abbiamo agito come quando viene aperta una sala scommesse in luoghi non consentiti. Si mandano i vigili e si fa un'ordinanza».

Vi accusano di non cercare il dialogo con le comunità religiose.
«C'è il tema di avere interlocutori realmente rappresentativi. Con gli altri culti troviamo dei responsabili che hanno veramente una delega, qui è difficile intavolare una discussione, anche se da parte nostra confermo la massima disponibilità, come quando mettiamo a disposizione piazze e parchi per il Ramadan».

La comunità bengalese, islamica, è sempre più grande.
«È una comunità molto presente e che porta un'istanza forte, ma che deve essere declinata nel rispetto della città e della pianificazione urbanistica. Guardiamo alla comunità islamica di Marghera: siamo mai andati a sindacare sulla struttura di via Monzani?».

No.
«È la prova che su via Piave abbiamo agito così perché lì non si può fare. Tutti devono capire che ci sono delle regole e, se non conoscono normativa, si facciano aiutare da professionisti seri. Se colloco una moschea dentro un condominio creo una ferita in città. Altro che "integrazione" e "inclusione sociale"».

Quindi nessuna motivazione politica.
«Per noi le religioni sono fattori di crescita e di ricchezza della città, e la storia di Venezia è lì a dimostrarlo. Se siamo intervenuti su via Piave e, in passato, in altri casi, è perché si è provato ad aprire centri dichiarati "culturali" in luoghi non adatti dove invece si concentravano enormi quantità di persone. Non abbiamo minimamente caricato di motivazioni politiche questa vicenda. È solo una questione tecnica». 

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