MESTRE - “Per motivo di ristrutturamento, il madrasa è temporaneamente chiuso”. L’italiano non è dei migliori, ma il senso si capisce. E sotto, su questo cartello comparso nel primo pomeriggio di ieri sulle due entrate della moschea di via Piave 17 - sia su quella lungo la strade che sull’altra, più nascosta, in via De Amicis - la traduzione della stessa frase in bengalese per far capire ai fedeli che, almeno per ora, non è più il caso di entrare nell’ex supermercato per pregare. Perchè anche ieri, attorno alle 13, un altro gruppo era comunque entrato nonostante l’ordinanza emessa lunedì scorso dal Comune nella quale si intimava lo stop alle attività di culto. E anche ieri, chiamati dai residenti della zona, sono arrivati i vigili che li hanno fatti sgomberare dal “madrasa”. cioé la “scuola di preghiera”. Un ennesimo segno del braccio di ferro ancora in corso (e chissà fino a quando) tra l’amministrazione cittadina e la comunità islamica bengalese che rivendica uno spazio in cui pregare, sul quale arriva il commento - e il monito - del “Gruppo Articolo 19” veneziano composto da esponenti ed associazioni di varie religioni («tra noi vi sono cattolici, valdesi, musulmani, induisti e buddisti», dicono) ed anche laici.
L’appello
“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
«Cercare una mediazione»
«Ma le diffide, le opposizioni, l’assenza di negoziazione non danno alcun rimedio in una situazione in cui migliaia di persone in città considerano la religione una parte irrinunciabile della loro identità, persone che non sono solo immigrate, ma anche italiane e che vivono in città, contribuendo al suo sviluppo - riprende l’appello del gruppo interreligioso -. Molte sono le comunità religiose prive di spazi adeguati che dovrebbero essere raggiungibili e non confinati nelle periferie: oltre ai concittadini musulmani che sono la maggioranza, anche centinaia di buddisti, induisti e gruppi evangelici, da anni sono costretti a cercare sistemazioni di fortuna per le loro cerimonie. Molti di questi gruppi sarebbero in grado di prendersi carico dell’acquisto e dell’affitto degli spazi, per questa ragione chiediamo con urgenza alle istituzioni di esserci, facilitare, mediare, aprire momenti di consultazione, dare le informazioni necessarie, riadattare i piani urbanistici alle nuove realtà, prevenire conflitti ed evitare episodi che, nel silenzio e nel vuoto di mediazioni, creano divisioni, diffidenze, ostilità, quando la nostra città multiculturale ha bisogno di coesione, solidarietà, dialogo e convivenza». Un appello di cui di dovrà tener conto, anche per non continuare con i blitz come quello di ieri e dei giorni precedenti.
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