La Via Crucis del Covid: ad ogni stazione il racconto di un fedele su un anno di sofferenza

Venerdì 2 Aprile 2021 di Raffaella Vittadello
La Via Crucis organizzata nella chiesa di S. Ignazio di Loyola a Ca' Bianca

LIDO DI VENEZIA - Ad ognuna delle quattordici stazioni della Via Crucis la testimonianza di sofferenza di un fedele o di una famiglia in condizioni di disagio a causa del virus. La pandemia si ripercuote anche sulle celebrazioni religiose e mercoledì sera la comunità pastorale del Lido, formata dalle sei parrocchie dell’isola, si è riunita in chiese diverse - per rispettare le restrizioni - a meditare però su un testo comune, in contemporanea.
Un modo inedito per riflettere sul tema del dolore, sulla via del Calvario, con la condivisione dei drammi di tante persone «che hanno toccato le ferite del Crocifisso, le hanno viste, le hanno curate», ma anche con il sostegno della fede di «un Signore che cammina verso la Risurrezione, certi che la vita donata è sempre vita risorta».
E così si sono alternate le storie di una famiglia con tre bimbi piccoli, attanagliata dalla paura del contagio, nella fatica di crescere nella serenità, senza lavoro e senza aiuti, i figli che chiedono di uscire a giocare. Famiglia alla quale, come tante, non è rimasta che la Caritas ad alleviare il disagio economico e la solitudine. Come i due dipendenti di hotel rimasti a casa entrambi, o la ragazza appena laureata che ha visto svanire il sogno di un impiego all’estero dopo il traguardo tanto desiderato e che si è sentita impotente e frustrata nel vedere diminuire i risparmi i genitori, che avevano sacrificato per permetterle di studiare.
TANTE STORIE
C’è poi l’infermiera che sottolinea il peso morale della responsabilità della propria professione, che diventa una vera e propria missione: una persona che diventa vicina, che incontra il prossimo nel volto di uno sconosciuto e tenta di alleviarne la disperazione, il senso di abbandono che gli legge negli occhi.
Una via crucis in cui si intrecciano le storie difficili di chi ha un parente ricoverato in una residenza sanitaria, e non può trasmettere l’emozione di una carezza, di uno sguardo, se non attraverso lo schermo di un tablet. Quelle del volontario della Protezione civile, che mette il proprio tempo a disposizione degli altri, e che ha tanti aneddoti da raccontare, come quello della lotta contro il tempo per consegnare a Pellestrina un farmaco salvavita.
E c’è la fragilità degli adolescenti, privati delle gioie della loro età, che si confidano con i loro catechisti negli incontri serali, o la cassiera del supermercato, che non deve mai perdere la pazienza. 
Emozioni che emergono e che commuovono, nel ricordo di chi ha perso un parente, un amico, un figlio, un marito. E si intrecciano con quelle di una famiglia ricoverata in terapia intensiva, o con quelle di chi lavora in un’impresa di onoranze funebri, e che tutti i giorni affronta il peso del colloquio con dei familiari che hanno appena perso una persona cara.
Riflessioni che hanno lasciato spazio alla speranza, che tutta questa sofferenza non sia fine a se stessa, ma alla quale ciascuno trovi una risposta, sorretto dalla fede.
 

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