Omicidio Cecchettin, la rabbia degli altri detenuti per i privilegi di Filippo Turetta: «Dopo soli due giorni già libri e colloqui con i genitori?»

Irritazione in carcere per le concessioni fatte al 21enne: «Gli avvocati dei carcerati hanno fatto fatica ad incontrare i propri assistiti»

Giovedì 30 Novembre 2023 di Angela Pederiva
FilippobTuretta, Montorio

VENEZIA - Elisabetta Martini e Nicola Turetta non vedono il loro primogenito dall’11 novembre, giorno in cui Filippo ha sequestrato e ucciso Giulia Cecchettin, si è disfatto del suo corpo ed è scappato all’estero. Ma la coppia di Torreglia non se la sente di incontrare adesso quel «ragazzo normale, praticamente perfetto» che credeva di aver cresciuto e ritiene che pure lo stesso figlio abbia bisogno di tempo prima di poter avere un confronto con la propria famiglia. Per questo ieri i genitori hanno deciso di rinunciare al colloquio nella casa circondariale di Montorio Veronese, a cui pure erano stati autorizzati in deroga al calendario delle visite, il che peraltro ha suscitato il fastidio degli altri detenuti.

La rabbia per i "privilegi"

L’irritazione corre sulle frequenze virtuali di “radio carcere”, come registra l’associazione “Sbarre di zucchero”, attraverso le segnalazioni di reclusi e familiari. Filtra così l’indignazione perché «sono tutti concentrati sull’assassino di Giulia», dentro ma anche fuori, tanto che «gli avvocati dei detenuti hanno fatto fatica ad incontrare i propri assistiti per colpa dei giornalisti/fotografi» assiepati fuori dal cancello. Non a caso è intervenuta più volte la polizia penitenziaria, la cui dotazione effettiva è inferiore di 52 unità alle previsioni della pianta organica, secondo l’ultima relazione del Garante regionale dei diritti della persona. Confidava ieri una donna alla vicepresidente Micaela Tosato: «I ragazzi dentro sono seguiti meno del solito perché, come ha detto un brigadiere al mio compagno, adesso bisogna pensare al nuovo arrivato vip. Che schifo, sono sempre più schifata. E stamattina l’assassino ha il permesso di incontrare i genitori, nonostante non sia giorno di colloqui per la sua sezione...». Cioè quella parte dell’infermeria, chiamata “psichiatrica sperimentale”, che non prevede contatti con i familiari al mercoledì. Ma ad indispettire è stata anche la notizia dei due volumi, cioè il giallo di Agatha Christie e il romanzo di Aleksandr Puškin, prestati dalla biblioteca interna a Turetta: «Dopo solo due giorni ha già libri da leggere e colloquio con i genitori?».

La rinuncia all'incontro

Alla fine no, il faccia a faccia con mamma Elisabetta e papà Nicola non c’è più stato e chissà quando ci sarà, malgrado il pm Andrea Petroni lo avesse autorizzato dopo aver ascoltato le dichiarazioni spontanee di Filippo, che nell’interrogatorio di garanzia martedì aveva affermato: «Non voglio sottrarmi alle mie responsabilità, voglio pagare quello che sarà giusto per aver ucciso la mia ex fidanzata». Però un conto è dirlo, un altro è farlo. È stato valutato che non solo il giovane, bensì pure sua madre e suo padre, avranno bisogno di un supporto psicologico per prepararsi al momento in cui dovranno guardarsi negli occhi. In quell’istante il 21enne non sarà più il «bravo ragazzo» che era stato descritto, ma un detenuto reo confesso di omicidio volontario aggravato e sequestro di persona. E i suoi genitori avranno nel cuore un macigno ben più pesante dell’ansia con cui, all’inizio di questa drammatica vicenda, ancora speravano nel lieto fine e lanciavano un appello allo “scomparso”, senza sapere che in realtà era un killer in fuga: «Lo preghiamo di darci notizie, sue e di Giulia. Siamo preoccupati e vorremmo che ci contattasse. Noi lo aspettiamo, vogliamo tanto bene sia a lui sia a Giulia, li aspettiamo a braccia aperte». Dopo il suo arresto in Germania, Nicola Turetta aveva mandato un messaggio a Gino Cecchettin, per chiedergli perdono e dirgli che Filippo avrebbe dovuto «pagare per quello che ha fatto», ma nelle interviste aveva anche aggiunto di volerlo rivedere, benché in tutta la sua colpevolezza: «È sempre mio figlio».

Il tempo per quell’abbraccio, per lui e per sua moglie Elisabetta, non è però ancora maturato.

Il dolore

Perciò all’avvocato Giovanni Caruso, che difende lo studente insieme alla collega Monica Cornaviera, non è rimasto altro che comunicare alla direzione del carcere di Montorio Veronese la decisione della famiglia. Nel pomeriggio sono stati invece gli stessi legali ad avere un lungo colloquio con il loro assistito, per continuare a studiare la linea difensiva anche in vista del momento in cui il detenuto chiederà di essere sentito dal pm Petroni. Fosse per fra’ Paolo Crivelli, cappellano del carcere, non si dovrebbe tuttavia più parlarne: «Il mio appello è di far scendere il silenzio, perché bisogna rispettare il dolore delle persone che sono coinvolte in questa tragedia e lasciare che la giustizia possa fare con serenità il suo corso. Hanno bisogno di silenzio anche i magistrati per poter lavorare, non di pressione mediatica. I processi si fanno nelle aule giudiziarie e non sui giornali. Non credo che questo tipo di informazione aiuti il popolo italiano a crescere serenamente di fronte a questi drammi e a viverli serenamente».

Ultimo aggiornamento: 18:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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