La denuncia dell'imprenditore morto in hotel: «Minacce e ricatti»

Giovedì 1 Aprile 2021 di Roberta Brunetti
Matteo Voltolina

VENEZIA - Si sentiva minacciato e aveva paura. Per questo era andato dalla Polizia a riferire di quei traffici di droga. Pochi mesi prima di morire, da solo, nella stanza di un hotel di Mestre. Sono del veneziano Matteo Voltolina - figlio di uno dei fondatori dell'Antica Murrina Veneziana, morto a 38 anni all'inizio del 2020 - le testimonianze che hanno dato il via all'indagine della Squadra Mobile di Venezia conclusasi, l'altro giorno, con gli arresti di un gruppo di albanesi, accusato di gestire il traffico di cocaina del centro storico.

Ebbene, proprio con questa banda, Voltolina sarebbe entrato in contatto. E avrebbe avuto problemi. Nel 2019 era andato dalla Polizia a riempire pagine e pagine di verbali. Aveva raccontato di minacce, cercava protezione. L'ipotesi investigativa era che fosse vittima di un'estorsione. Ma i primi accertamenti non avevano confermato quei sospetti.


LA MORTE

Poi, a gennaio, Voltolina era morto. Trovato senza vita, in una stanza dell'ostello Anda Venice, vicino alla stazione di Mestre, dove si era rifugiato da un paio di giorni, lasciando la sua casa veneziana di campo San Maurizio. Un malore fatale, in un momento difficile della sua vita. In particolare per la separazione burrascosa dall'ex compagna, la veneziana, già tronista di Uomini&Donne, Carla Velli, con la quale aveva avuto un figlio. La notizia della sua morte che aveva scosso Venezia, dove l'uomo era noto. Figlio di Francesco Voltolina, imprenditore tra i fondatori dell'Antica Murrina Veneziana, marchio storico di vetro artistico, con sede a Olmo di Martellago, ceduta da pochi anni.


LA PISTA

Che Voltolina fosse stato vittima di estorsione, si diceva, non trovò conferme. Ma anche dopo la morte, le sue dichiarazioni sono tornate utili agli investigatori. Tra i nomi indicati dal veneziano c'erano infatti degli albanesi appartenenti al secondo livello dell'organizzazione smantellata l'altro giorno. Spacciatori che prendevano in consegna la droga dai vertici e la passavano ad un giro di consumatori-pusher. Un secondo livello di insospettabili, con lavori regolari, in grado di muoversi in barca per consegne rapide in questa o quella fondamenta. Barche che spesso erano delle ditte per cui lavoravano: dal trasporto di frutta e verdura alla società edile. La droga che trattava l'organizzazione, poi, era di qualità, con un giro di clienti che apprezzavano e pagavano: dal tassista al ristoratore.
Ma le indagini si sono concentrate soprattutto sui vertici, che si proteggevano con un continuo cambio di schede telefoniche. Così gli agenti hanno cambiato strategia: ore di osservazioni e pedinamenti. E agli atti ci sono anche le foto che documentano i rifornimenti, nelle case tra Mestre e Marghera dove veniva stoccata la cocaina, prima dei viaggi verso la laguna.

Ultimo aggiornamento: 17:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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