Canella, il cocktail che fa bere il mondo

Lunedì 14 Febbraio 2022 di Edoardo Pittalis
Lorenzo Canella

SAN DONA' DI PIAVE - Negli anni della guerra Giovanna Canella, vedova con quattro bambini, serviva ombre nell'Osteria del Forte 48 a San Donà di Piave. Il vino era soltanto di due tipi: rosso d'inverno, bianco d'estate. Il primo era il raboso del Piave, l'altro un tocai che resiste al caldo umido che arriva dal fiume. Giovanna voleva che il figlio Luciano l'aiutasse dietro il bancone, ma quello sognava di andarsene col circo Togni arrivato per le feste di Natale. Cercavano un acrobata, ma Luciano non si reggeva in equilibrio sul filo. Non riusciva nemmeno a far ridere come pagliaccio e non aveva l'aspetto duro per diventare un domatore di tigri e leoni. Aveva provato a fare il giocoliere con le bottiglie, ma era finita male, in un mare di vetro. Però, aveva un'idea: fare il mangiatore di fuoco. Si era procurato un secchio di benzina e ci aveva provato: aveva preso fuoco. Gli è andata bene: la famiglia ha conservato una foto in bianco e nero, Luciano ha il capo bendato con un turbante bianco e le mani fasciate. Indossa pantaloni alla zuava e calza sandali del tempo di guerra. Il sogno di fuggire con acrobati, nani e pagliacci è racchiuso in quella fotografia. Giovanna capisce che è meglio mandare quel figlio in giro a procurare il vino da vendere. Qui Luciano mostra il suo vero talento. Per lui il vino deve essere dolce, frizzantino, non deve ubriacare. Se non c'è, si crea nella cantina di casa, aggiunge un po' di zucchero, gassifica, vende Tocai e Merlot ai clienti che d'estate giocano a bocce dietro l'osteria. Lo distribuisce in bottiglie col tappo meccanico, quelle con le quali si vende la spuma, le compra direttamente dalla ditta Pagnacco di Mestre.
Le bottiglie sono preziose, si lavano in grandi mastelli di legno, d'inverno si deve rompere lo strato di ghiaccio. Poi capisce che occorre un marchio per distinguersi, anche perché la gente in giro incomincia a chiedere la bottiglia della Giovanna. È allora che Lorenzo Canella affitta un garage e, con una Fiat 500 Belvedere e un furgone Tigrotto, crea la sua ditta.
Oggi l'azienda Canella produce ogni anno 4 milioni e mezzo di bottiglie e fattura 13 milioni di euro.

Metà prosecco, metà cocktail. Vende in 55 paesi, dopo l'Italia gli Usa sono il secondo mercato. A guidare l'impresa sono i quattro figli del fondatore: Lorenzo, 63 anni, con le sorelle Alessandra, Nicoletta e Monica. Canella è anche sponsor del Venezia Calcio in serie A e del San Donà Basket che disputa il campionato di serie B. Dice Lorenzo: «Vendiamo una cosa che è socializzante, simpatica, leggera, che ci ha consentito di girare il mondo. Abbiamo tenuto botta, nonostante tempi difficili, abbiamo resistito alla tentazione di vendere. Mio figlio Tommaso è già in azienda e ci sono gli altri nipoti, tutti maschi, pronti a entrare. Il Covid ci ha visto uscire bene dopo un primo periodo di sbandamento, poi quando si è capito che stare a casa con una buona bottiglia aiutava a stare meglio, allora abbiamo registrato una crescita molto importante».


Il grande salto è stato alle fine degli Anni '50?
«Incominciava il fenomeno del turismo a Jesolo e nei campeggi del Cavallino, mio padre vendeva il suo vino a tedeschi e austriaci. È stato abile a investire subito in pubblicità, enormi cartelloni sulla strada che portava al mare, scritti direttamente in tedesco. I due bambini che appaiono nel primo più grande manifesto siamo io e mia sorella Alessandra. Poi la C di Canella è stata trasformata in un cameriere stilizzato che ha contrassegnato tutte le nostre bottiglie. Ha incominciato ad allargare gli orizzonti della produzione cercando vini verso Vittorio Veneto e sulle Colline di Valdobbiadene. Qui ha finito per innamorarsi di un prodotto quasi sconosciuto, il Prosecco. Già da allora incomincia a produrlo e a venderlo. C'è una fotografia del 1962 scattata in occasione del mio terzo compleanno, si vede bene la bottiglia del Prosecco con tanto di marchio. Ed è una foto importante, perché quando in Italia s'impone il marchio doc, i Canella con quella bottiglia possono dimostrare che il Prosecco può essere prodotto anche fuori dalla zona denominata. Siamo soltanto noi e la Cantina Marzotto di Portogruaro».


Che tipo era vostro padre Luciano?
«Era un uomo timido da morire, però geniale. Non aveva studiato, ma aveva intuizioni straordinarie e una grande passione. Non ha mai voluto che i figli entrassero per forza in azienda, ma siamo quattro fratelli cresciuti a pane e prosecco. Abbiamo quattro caratteri diversi, ma ognuno con una sua caratteristica: io amo viaggiare come Nicoletta, Alessandra ama le pubbliche relazioni ed è appena andata al Festival di Sanremo a trovare Gianni Morandi che è un grande amico; Monica ha studiato marketing a Bologna. Abbiamo sempre deciso insieme, siamo come i Pooh. Papà era abile a cogliere le occasioni. A Mestre c'era la trattoria da Tonin Geremia, di fronte al Teatro Toniolo, così tutti gli artisti andavano lì a cena e venivano fotografati con la bottiglia Canella sul tavolo: da Gassman a Dario Fo, Paolo Stoppa, Macario, Delia Scala, Celentano, Dorelli Per ogni foto, Geremia aveva lo sconto. Nostro padre aveva la passione del cinema, il lunedì ci obbligava a stare a casa per vedere il film in tv».


E la mamma?
«Mamma Renata viene dalla Val di Non, è grazie a lei se siamo così uniti. Ci ha cresciuto lei, papà a 84 anni era ancora il primo ad arrivare in azienda in bicicletta. La mamma sta per compiere 90 anni, gira in auto da sola, ogni domenica a mezzogiorno immancabilmente raduna le amiche e va a pranzo con loro».


Sempre tutto così liscio?
«Tutto bene fino al 1986, quando in Italia scoppia lo scandalo del metanolo che mette in ginocchio l'intera produzione di vino. Sarebbe stato il mio primo Vinitaly, mi sono trovato da solo in macchina a piangere. Il vino era demonizzato, e mio padre a quel punto s'inventa qualcosa: legge che in California uno studente aveva incominciato a fare vino con la frutta; ricorda che una cosa del genere in Italia l'ha già fatta Giuseppe Cipriani, il fondatore dell'Harry's Bar, che aveva creato il Bellini con la pesca. Per incontrare Arrigo Cipriani era andato a Venezia con mia madre e poi l'aveva lasciata fuori ed era entrato da solo. Tornano a casa, lui felicissimo, lei col muso e non glielo ha mai perdonato. Aveva raggiunto l'accordo per produrre il Bellini col marchio Canella, a patto che gli ingredienti non venissero toccati e che si usasse unicamente la pesca bianca. Quel prodotto ci ha aperto le porte del mercato internazionale. Una volta abbiamo esposto una bottiglia gonfiabile enorme in Piazza San Marco per Capodanno, il sindaco Cacciari acconsentì a patto che offrissimo da bere a tutta la piazza. Non avevamo valutato che ci sarebbero state più di 20 mila persone!».


Avete sempre avuto testimonial famosi per le vostre bottiglie?

«A volte anche involontari. Una domenica ero a Venezia col mio motoscafo e coincidevano la Mostra del Cinema e la Regata Storica, era tutto bloccato. Mi dicono che l'attore Pierce Brosnan, l'interprete di 007, vuol fare un giro in laguna ma non trova un'imbarcazione. Mi offro di portarlo a una sola condizione, che a bordo bevesse un po' del nostro cocktail. Chiese di guidare, si mise a correre e da lontano piombò con la sirena il motoscafo della Guardia Costiera. Panico, ma quelli appena lo hanno riconosciuto si sono fatti un po' di foto con 007 e si sono allontanati. Da pochissimo siamo stati inseriti tra i marchi storici e tra un mese produrremo la nostra prima bottiglia di Prosecco col marchio storico. La vedrete nella trasmissione l'Eredità su Rai1, ogni sera prima di cena».

Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 10:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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