TARVISIO - Per chi vive in montagna uno degli incontri più affascinanti da poter fare è quello di imbattersi in una lince. Un mammifero selvatico molto schivo e difficile da trovare anche perché in gran parte d’Europa si era praticamente estinto. Basti pensare che nell’interno arco alpino si stima siano circa 200 gli esemplari ancora esistenti.
Le altre linci: da Margy e Sofia a Jago e Talia
Le prime due - originarie del cantone del Giura, in Svizzera - sono state Margy, rilasciata il 9 marzo, e Sofia, liberata il 16 marzo. Due mesi dopo è stata la volta di Jago e Talia, entrambi provenienti dai Carpazi. Tutte le linci, trasferite solo dopo accurati controlli sanitari così da evitare anche eventuali traslocazione di soggetti imparentati, sono dotate di radiocollare GPS così da poter essere costantemente monitorate dal gruppo di ricerca: Margy e Sofia si trovano ora in Carinzia, la prima sui monti del Nockberge mentre la seconda a nord di Villaco. Jago e Talia, invece, stanno ancora esplorando le Alpi Giulie alla ricerca del loro habitat. Gli esperti considerano quella di ieri una giornata storica, non solo perché si completa così un programma di rafforzamento della popolazione italiana della lince iniziato più di due anni fa, ma perché segna un ulteriore passo verso la creazione di una cosiddetta “stepping stone”, un nucleo di appoggio che consenta il possibile ricongiungimento della popolazione alpina con quella dinarica. Da diversi anni, per garantire misure di rinforzo e conservazione della specie, è attivo il programma europeo “LIFE Lynx” iniziativa volta alla salvaguardia e alla lotta contro l’estinzione della lince eurasiatica nei monti Dinarici e nelle Alpi sudorientali e che prevede nella nostra regione un’attività di reintroduzione della lince. Il progetto ULyCA, nato nel 2013, aveva portato al rilascio nella Foresta di Tarvisio di due linci provenienti dalla vicina Svizzera. È stato poi riattivato nel 2022 e gestito dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità in stretta sintonia con la Regione FVG, con il supporto del “Progetto Lince Italia”, dell’Università di Torino, con il sostegno di WWF e delle associazioni venatorie e sotto il coordinamento tecnico scientifico di Paolo Molinari.