TREVISO - Cinquant’anni portati splendidamente grazie alla passione per il nuoto e a un lavoro estremamente dinamico: quello del sommelier. Era il 1996 quando un ventiduenne Regis Ramos Freitas lasciava São Luís per l’Italia, trovando nella Marca qualcosa in grado di toccare le sue corde meglio del samba brasiliano: il vino. «Rimasi subito folgorato dal mondo delle osterie. Non avevo alcuna conoscenza enologica, ma mi affascinava il modo in cui il piacere del buon vino riusciva a unire persone di tutti i tipi: lo studente, il pensionato, il professionista, la casalinga…». Da lì la decisione di diventare sommelier, provando a far carriera nel settore. «Ma il diploma AIS fu solo un punto di partenza, perché poi mi sono sempre dedicato ad approfondimenti personali, degustazioni private, incontri importanti per migliorare sensibilità e competenza».
IL PERCORSO
Dopo i lavori in osteria, ecco il primo vero salto, alla Vineria: era un format di locale moderno, giovanile, informale ma curatissimo, con piatti sfiziosi e vini mai banali, «Tenevamo 2000 etichette in carta, e vantavamo anche già uno shop per vendere vino da asporto.
IL PRESENTE
Oggi, tra quelle stesse mura, sorge Feria, realtà ben diversa ma con ambizioni e qualità degne del posto e della sua storia. Per valorizzare l’alta cucina indonesiana di chef Marco Feltrin, Regis punta con decisione sui vini artigianali: espressioni autentiche del territorio, prodotte nel rispetto delle tradizioni contadine e dei ritmi della natura, figli di metodi di coltivazione tradizionali e sostenibili, da cui possono sorgere ad esempio vini biologici o biodinamici. «Cerco di scovare aziende artigianali che facciano prodotti puliti a prezzi più accessibili. Riesco a proporre vini particolari macerati, non filtrati, grazie al fatto che la cucina di Marco consente un ottimo abbinamento a questi prodotti». È raro, però, che un cliente scelga certi vini in maniera spontanea. «Sono vini che vanno espressamente consigliati e spiegati: qui posso farlo con successo, grazie alla contestualizzazione di sapore offerta dall’abbinamento culinario. Tanti clienti scelgono cosa mangiare, e poi mi chiedono un suggerimento su come abbinare il cibo: spesso finiscono col bere un vino che normalmente non avrebbero considerato». Il ristorante integra anche un’area bistrot, easy e informale, strizzando così l’occhio ad un pubblico più fresco. «Oggi molti giovani s’interessano già di vino. Noto però che al consumatore giovane manca un po’ di conoscenza della storia, dell’evoluzione del vino, ed è comprensibile: per bere in ristorante una bottiglia di Premier Cru di Borgogna bisogna spendere 150 euro. Il costo è aumentato tantissimo, quindi è molto difficile per un giovane avvicinarsi a certi vini che sono capisaldi della cultura enologica». Inutile girarci attorno: tra i ragazzi il problema non è solo cosa si beva ma anche quanto. «Voglio spezzare una lancia a favore della nostra clientela giovane, che sta molto attenta ai consumi, per come la vedo io. Ad esempio, accanto al percorso di cucina da 7 portate, i giovani spesso chiedono in chiedono in abbinamento 5 vini soltanto».
LE TENDENZE
La domanda sorge spontanea, a questo punto: quali sono i vini che vanno per la maggiore? «In questo periodo, negli ultimi due anni, vedo che c’è meno interesse sui rifermentati, i vini col fondo che fecero il boom 5 anni fa. Oggi si sta tornando sul Metodo Classico, che non sia però champagne, sempre per un discorso di prezzo». Parlando di tendenze, ormai i cocktail tirano anche in cucina. «Con il dolce io abbino quasi sempre un cocktail. Per esempio, in questo periodo c’è un nuovo dessert a base di mandorla, avocado, liquirizia e limone nero. Io sto provando ad abbinarlo ad un cocktail con tequila, anice secco, bitter al sedano, sciroppo di tamarindo, sciroppo di cocco e succo di lime fresco. Insomma tocco la parte cremosa del dolce, riprendendo soprattutto la liquirizia ma usando nel drink altri ingredienti. Mi piacciono gli esperimenti. E piacciono sempre di più anche al cliente».