L'intramontabile Bianchini e le "bombe", il coach sbanca Treviso

Mercoledì 25 Ottobre 2017 di Federico Bettuzzi
L'intramontabile Bianchini e le "bombe", il coach sbanca Treviso
TREVISO - Ricordi, aneddoti, retroscena. Il dualismo con Dan Peterson, l'appetito di Kea, la Louisiana di Wright, gli spacciatori comaschi, i miliardi dei mecenati. Valerio Bianchini a 74 anni dimostra verve e lucidità ammirevoli. Il timbro roco e caldo della sua voce è risuonato affascinando gli ospiti della conviviale di ottobre del Panathlon Treviso riuniti dal presidente Andrea Vidotti "Al Migò". Introdotto e alternato dal giornalista Paolo Viberti, ampi trascorsi nel basket che con lui ha realizzato il libro "Bianchini Le mie bombe" (BradipoLibri, 18 euro), il decano degli allenatori ha srotolato la matassa dei ricordi, aiutato dalla presenza in sala di Claudio Pea, Andrea Gracis, Stefano Cazzaro, Paolo Vazzoler, Paolo Pressacco e Michele Antonutti.

«La pallacanestro è l'applicazione della dialettica hegeliana. La tesi è la preparazione della partita, l'antitesi le contromosse del coach avversario, la sintesi la capacità di trovare un corso d'opera le soluzioni per vincere». Questa la premessa per entrare nell'universo di Bianchini, soprannominato il Vate per la grande cultura applicata al basket: «Il nostro sport ha accompagnato i cambiamenti sociali. Lo sponsor Simmenthal descrisse una fase storica di rilancio dopo la guerra, Ignis con i suoi frigoriferi e Sinudyne con i televisori tracciarono il solco dell'Italia del boom economico».

Epici i duelli con Dan Peterson, soprattutto fuori: «Facevo impazzire Dan rilasciando interviste che lo punzecchiavano al sabato sera cosicché alla domenica si parlasse più della dialettica che della partita. Era un confronto psicologico con un grandissimo collega. Lo feci ridere quando seppe che dopo una sconfitta minacciai i miei giocatori di denunciarli al giudice Infelisi che era quel magistrato che indagava sul fenomeno dell'assenteismo. Una volta invece, durante un derby Milano-Cantù, fummo espulsi entrambi: lui infastidiva Riva in lunetta e io reagii. D'altronde Dan è uomo di mondo: la vulgata che lo voleva ex agente della Cia scappato dal Cile due giorni prima del golpe di Pinochet non è mai stata smentita. Riserva delle sorprese ancora oggi: a dicembre infatti si sposerà».
L'AMERICA
«Abbiamo imparato dagli statunitensi, da Van Zandt e da McGregor che ritrovai ct della Colombia in simpatica polemica con il suo ex gm a Gorizia, Di Brazzà». Nel campo dei giocatori, alcuni nomi restano indelebili nella memoria: «Tom Boswell fu portato in Italia in gran segreto per non demotivare Terry Stotts, che avrebbe sostituito, e per non far sapere agli spacciatori di Como che la sua ragazza, tossicodipendente, alloggiava all'hotel Barchetta. Per reclutare Larry Wright andai a casa sua, in Louisiana, dove nelle palestre fatiscenti scoppiano risse col coltello durante le partite: lo convinsi parlandogli degli ex Nba che erano venuti in Italia a giocare. Clarence Kea fu una scommessa azzardata, avevo bisogno di un pivot per sostituire Kim Hughes: pescai questa specie di Bud Spencer del parquet, basso e grosso, a Detroit, in Cba. Confondeva l'Europa con le Filippine e a tavola era bulimico. Ma fu l'unico capace di fermare Meneghin».
CASA ITALIA
«Abbiamo avuto talenti purissimi. Marzorati play intelligentissimo, Riva doti fisiche eccezionali. Gracis l'emblema dell'altruismo in campo pur potendo segnare molti punti: dimostrò il suo talento offensivo vincendo la classifica marcatori dell'Open di Madrid davanti a Larry Bird e Drazen Petrovic». Per Bianchini l'Italia è anche Pino Locchi, il suocero scomparso nel 94, doppiatore storico di Sean Connery, Roger Moore e George Lazenby: «Telefonare alla mia fidanzata Marina e sentir rispondere la voce di James Bond mi spaventava al punto di chiudere la comunicazione».
 
Ultimo aggiornamento: 18:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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