La storia/ «Posto fisso addio: mollo tutto
e vado a fare il pastore nel Vittoriese»

Venerdì 3 Febbraio 2012 di Claudia Borsoi
Daniele Castagner (archivio)
TREVISO - Professione pastore. Daniele Castagner, vittoriese doc, classe 1974, ha dato una svolta alla sua vita, tornando a quella che fin da piccolo era la sua passione, la natura e il mondo animale. In questi giorni le sue pecore pascolano tra i campi di via Cal Grande, a San Giacomo, nel Vittoriese. Un'immagine bucolica alla vista di chi transita lungo la via, un flash d'altri tempi.



Da quanti anni fa il pastore? «Da tre anni, nella mia famiglia nessuno lo era. Anzi, devo ammettere che non mi hanno certo appoggiato in questa scelta. Prima lavoravo per la Savno, in pratica facevo il netturbino, raccoglievo immondizie, avevo un posto fisso, ma mi sono licenziato».



E cosa l'ha spinta a lasciare il posto fisso? «La passione per la natura e per le pecore che ho scoperto da bocia, alle elementari: per il mio compleanno chiesi a papà come regalo un agnellino. Ma ho sempre avuto delle pecore, una decina, le tenevo nei prati vicini alla mia casa di Costa. Tre anni fa ho acquistato un gregge. Ho iniziato la vita del pastore, cercando di conciliarla con la famiglia (mia moglie, Antonella, e mio figlio di 11 anni) e con il lavoro alla Savno. Ma era difficile, anzi impossibile: per questo finii per vendere tutto il gregge».



E poi? «Lo scorso settembre ho comprato 180 pecore e ho ripreso, a tempo pieno, la vita del pastore».



Un mestiere sempre più raro? «Sì, a Vittorio Veneto solo l'unico, in provincia di Treviso se ne contano un paio. È una vitaccia la nostra».



Si riesce a mandare avanti una famiglia facendo il pastore al giorno d'oggi? «Si tira avanti, diciamo che vivo alla giornata. I sabati e le domeniche non esistono: pioggia, sole o gelo si è sempre con le pecore. Inizio alle 7 di mattina, tutti i giorni, le pecore sono autonome, mangiano l'erba, a volte devo portare l'acqua. Più che altro devo verificare che stiano bene, se sono nati degli agnellini, anche in questi giorni ne hanno sfornati cinque».



C'è qualcuno che l'aiuta nel suo lavoro?«Mia moglie Antonella mi dà una mano negli spostamenti del gregge. E poi c'è il mio cane, un pastore belga e soprattutto mio padre con le richieste ai Comuni per i pascoli».



Anche fare il pastore è quindi un mestiere in cui ci si scontra con la burocrazia?«Sì, ci sono regole severe con Comuni chiusi che vietano anche il transito come Cordignano o Godega, altri in cui posso solo passare. Poi per fermarsi ci vogliono le autorizzazioni dei privati. E dopo esser passati per le strade bisogna pulirle. Ma posso dire che rispetto ad altre zone della Marca o del Friuli sono fortunato, trovo persone disponibili. Mentre le istituzioni ci chiudono la porta in faccia».



E come avviene esattamente la transumanza? «D'inverno le pecore stanno qui a Vittorio, niente stalla ma nei campi tra San Giacomo, Vendran e Carpesica, dove i proprietari mi danno l'ok, mentre da maggio a fine settembre siamo sul Pizzoc, tra Pian dell'Erba e Zuel. Quei mesi li trascorro in una casera e, devo ammetterlo, è come fare ferie, mentre in inverno è davvero dura. A settembre scendo con tutto il gregge passando per Osigo, Fregona, Piadera e Vinera. Ma è sempre più difficile trovare dei pascoli, ci sono sempre più vigneti e se le pecore pascolano lì finiscono per intossicarsi».



E se un domani suo figlio le dicesse "papà faccio il pastore"? «È una scelta che deve fare lui, ma ha già questa passione, ha infatti tre pecore».
Ultimo aggiornamento: 11 Febbraio, 20:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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