Nicola Canal e la ricetta 2019: «Basta musoni, l'ottimismo è tutto»

Sabato 29 Dicembre 2018 di Manuela Collodet
Nicola Canal e la ricetta 2019: «Basta musoni, l'ottimismo è tutto»

Arriva dall'immusonà per eccellenza la ricetta per buttarsi alle spalle un 2018 a tratti difficile e partire alla grande verso l'anno nuovo. «Son immusonà» Nicola Canal ha cambiato il gergo di migliaia di persone con quel tormentone social che ha portato il dialetto trevigiano stretto a elevarsi a slang cool. Lui, figlio di un muratore e una contadina, nato nel lembo estremo di quella Marca che dà i natali al Prosecco, ben presto ha imparato l'importanza dell'immaginazione. Quella vera, però. Quella che ti fa volare dove volano i tuoi sogni. In una terra dove ha valore sempre e solo ciò che si vede, e soprattutto si conta, lui vibra leggero con la saggezza dei suoi 32 anni.



«Se te sè immusonà impara a raccontartela». E così quando ha firmato il contratto da EatAly per il suo primo posto fisso, tomba di ogni artista, non ha pensato che era l'addio ai suoi sogni. No, lui si è detto: «Finalmente nessuno mi stresserà più per il mio accento veneto». Da qui è nato il suo primo video diventato in un attimo virale. Un volo sulle ali di quel che pareva impossibile che ha fatto di Nicola Canal, Il Canal, un fenomeno social senza confini.
Come racconterebbe questo anno nella Marca in un video?
«La prima immagine sarebbe un sorriso. E' vero che è stato un anno pesante, ma anche quando non c'è un reale motivo per festeggiare occorre praticare l'ottimismo. Occorre imparare a raccontarsela bene, anche se non è così. Mi viene in mente quando lavoravo coi bambini: quando trovavo un bimbo musone gli dicevo: Fammi un sorriso falso. Iniziava così, con lui che tirava il volto in una smorfia e poi alla fine rideva. Se per ripartire serve raccontarsi un po' di bugie, raccontiamocele. L'allegria può arrivare anche con il pan e la sopressa, non serve il boom degli anni passati. Occorre rivedere il modello della felicità: giacca nuova e auto figa non funzionano più, quel che conta è quello che sei dentro, la tua autenticità».
La Marca ha fatto dei passi avanti in questo senso?
«Sono tornato dopo dieci anni e mi sono accorto che la crisi economica ci ha fatto bene. Quando ho fatto il liceo le classi sociali erano molto divise: chi faceva il liceo era figlio di professionisti, chi andava al Cerletti di contadini, chi faceva l'Ipsia di un meccanico. Io ero l'unica mosca bianca, l'unico che parlava il dialetto e alla fine l'ho insegnato a tutti. Ora le carte si sono mescolate e questo è stato positivo. C'è più fermento, più confronto. Anche dal punto di vista ambientale la consapevolezza sta prendendo il posto del totale menefreghismo».
Che voto dà alla fine al territorio?
«Il massimo. Sono follemente innamorato della mia terra. E questo mi annebbia la vista: sono sempre portato a guardare quello che va, se vedo qualcosa che non va lo interpreto come una sfida. So che per molti questo ambiente è chiuso, ma se ci limitiamo a lamentarci di ciò che non va, ci perdiamo la bellezza di ciò che potrebbe essere. Serve l'intelligenza di confrontarsi con il diverso e di capire cosa fare per migliorare e migliorarsi».
Come si vive d'artista nella Marca?
«Il mio lavoro è al passo coi tempi: faccio qualcosa di artistico, ma non chiedo alle persone di alzare il sedere dalla sedia e venire a vedermi. Purtroppo la gente è pigra, il mezzo che uso va loro incontro e facilita il tutto. Se dovessi fare l'artista che fa teatro, la mia risposta sarebbe sicuramente diversa».
Qual è l'evento della Marca che le è piaciuto di più?
«Sicuramente il Lago Film Fest. È un progetto ben riuscito, se ne occupa tutta la comunità del posto e attira persone da tutta Europa. Una realtà stupenda, un bell'esempio di spirito di squadra e di apertura nei confronto del foresto».
Uno spirito di squadra che è venuto a mancare nella sua Farra di Soligo, un paese bloccato da vecchie dispute legali.
«Mi sono informato sulla faccenda e quando ho capito che non c'è la possibilità di avere una posizione netta ho alzato le mani. L'è un casin e sfido chiunque a dire altro. Mi viene in mente una parola che oggi piace tanto: karma. È un po' esemplificativo di quanto sta accadendo: gli errori del passato che tornano a bussare alla porta».
Avesse la bacchetta magica cosa cambierebbe di questa terra?
«Il senso di inferiorità che le persone hanno. Noi trevigiani, ma anche veneti in generale, non ci sentiamo mai all'altezza, mai abbastanza bravi. Siamo sempre lì a chiederci cosa abbiamo sbagliato».
Un po' come la storia della candidatura Unesco delle colline del Prosecco?
«Non ho mai compreso tutte quelle critiche Ho sempre visto la candidatura Unesco come la grande occasione per renderci conto del posto meraviglioso nel quale viviamo e iniziare a tutelarlo seriamente. Ora si va avanti. Speriamo che la prossima volta sia quella buona».
Cosa si augura di non rivedere più nel 2019?
«La tempesta sull'uva».
E cosa augura a tutti trevigiani?
«Auguro che il loro raccolto per l'anno nuovo sia ottimo come l'ultima vendemmia, che se a volte troppa uva può essere un problema di felicità invece non ce n'è mai abbastanza».
La prossima vendemmia con chi la farà, sempre con Zaia?
«Con la Chiara Ferragni: ma ghe fae portar le sece, che a capisse cossa significa ...l'eroica».
 

Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 12:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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