Crisi e imprese, il piano di Zanatta: «Un'area per i grandi eventi e la metro di superficie»

Domenica 1 Gennaio 2023 di Mattia Zanardo
Alberto Zanatta

TREVISO - La Marca Trevigiana resta una terra fertile per l'imprenditoria. Alcune infrastrutture potrebbero, però, contribuire ad aumentare ancor più la sua competitività e capacità di attrazione, oltre a rafforzare una più generale qualità della vita al di fuori delle fabbriche, altrettanto essenziale. Alberto Zanatta, presidente vicario di Assindustria Venetocentro con delega alla provincia di Treviso, ne indica due su tutte: un centro polifunzionale per ospitare grandi eventi e, in un'ottica di area vasta, il completamento del sistema ferroviario metropolitano. Insieme alle sfide internazionali e nazionali, dal caro energia all'inflazione, dal contrasto alla crisi demografica al favorire l'incontro tra mondo della scuola e del lavoro, l'associazione industriale continuerà a confrontarsi e stimolare istituzioni e attori sociali su questi progetti anche nel 2023. L'imprenditore, alla guida di Tecnica Group di Giavera del Montello, lo ribadisce proprio alla vigilia del via operativo ufficiale, da oggi, 1 gennaio,  di Confindustria Veneto Est, la nuova aggregazione tra Padova, Treviso, Venezia e Rovigo, seconda territoriale del sistema confindustriale su scala italiana, con 5mila aziende associate, per 270 addetti occupati, a rappresentare una metropoli di fatto da 96 miliardi di euro di Pil. Anche nel nuovo organigramma, Zanatta manterrà l'incarico di referente per il Trevigiano almeno fino al 2024.
Partiamo proprio dal livello locale: ultimata la Pedemontana, che infrastruttura le piacerebbe veder realizzata?
«L'ha evidenziato il nostro presidente Leopoldo Destro, nell'assemblea del 28 novembre: è necessario riprendere il cosiddetto progetto Sfmr, il collegamento ferroviario metropolitano tra Venezia, Treviso, Padova e Castelfranco, parzialmente realizzato e che andrebbe completato anche in chiave di connessione nel territorio con la linea Tav Milano Venezia, a sua volta in fase di costruzione».
Più nello specifico della provincia, un'opera da portare avanti?
«Oggi manca una struttura da destinare a esposizioni, concerti e altri eventi di una certa dimensione: sosteniamo la creazione di un centro polifunzionale nell'area della Dogana o in un'area dall'analogo potenziale».
Che anno si chiude per le imprese trevigiane?
«Un anno di crescita, in tutti i settori, nonostante le forti tensioni sul fronte delle materie prime e dell'energia e, nella seconda parte, il balzo dell'inflazione. Abbiamo recuperato i livelli pre-pandemia, si è ripreso il turismo, il dato al terzo trimestre delle esportazioni, tradizionale punto di forza della nostra economia, è anch'esso positivo. Se nel 2021 la crescita è stata guidata dalla manifattura industriale, che nella Marca è particolarmente attiva, e dalle costruzioni, trainate dagli incentivi all'efficientamento energetico, quest'anno si sono aggiunti anche i servizi e, appunto, il turismo».
Insomma, è andata meglio rispetto alle previsioni iniziali?
«Direi proprio di sì: tra pandemia, guerra, rincari e inflazione siamo stati tutti messi alla prova in modo straordinario e accelerato, ma siamo riusciti ad affrontare queste difficili circostanze senza arrivare a tensioni sociali. Un risultato importante, merito anche dello spirito di coesione e collaborazione tra i soggetti pubblici e privati che rimane forte nella nostra comunità».
Quali sono le prospettive per il 2023?
«Rimane ancora notevole incertezza e, almeno per la prima metà dell'anno, le previsioni indicano un rallentamento, in particolare nei settori più esposti verso i consumatori finali. Ma vediamo anche segnali di stabilizzazione dell'inflazione in molte economie avanzate, insieme al calo del prezzo del gas dopo la decisione europea sul price cap. Naturalmente l'augurio è che possano risolversi o attenuarsi le situazioni di crisi, a partire dalla guerra in Ucraina».
Come definirebbe lo stato d'animo attuale degli imprenditori trevigiani?
«Affrontiamo un contesto, per così dire, isterico. Da un lato, c'è l'attenzione elevata sui macro-fattori di discontinuità, dirompenti e non dipendenti dall'impresa: la guerra, la pandemia, il costo del denaro, l'inflazione. Inoltre abbiamo davanti grandi sfide, dalla sostenibilità, alla digitalizzazione, al capitale umano, su cui le nostre imprese stanno investendo. Dall'altro lato, il mercato sta tirando. Dunque viviamo uno stato d'animo preoccupato da queste trasformazioni, però al tempo stesso lo sguardo dell'imprenditore per sua natura è volto all'ottimismo».
Le esportazioni trevigiane macinano record. Possono bastare?
«L'espansione internazionale resta una vocazione dell'imprenditorialità del nostro territorio, ma anche i consumi interni sono importantissimi. Perciò è necessario far sì che la gente abbia qualche soldo in più in tasca, perché allora riesce a ristrutturare casa, a fare un viaggio, un acquisto, cioè a rimettere in circolo quei denari. Questo è uno degli aspetti su cui c'è un po' di preoccupazione. È indispensabile poter pescare nell'oceano delle esportazioni, però occorre aumentare la pescosità anche nel mare di casa».
L'Italia è uno dei pochissimi paesi Ocse in cui negli ultimi 30 anni i salari sono rimasti fermi: occorre alzarli?
«Come Confindustria da tempo stiamo chiedendo di intervenire sul cuneo fiscale. Il costo del lavoro in Italia è più elevato rispetto alla media del resto d'Europa, ma viene eroso da tasse e contributi e alla fine la quota che resta nelle tasche dei collaboratori è molto più bassa. Le aziende stanno utilizzando strumenti nuovi per alleviare i rincari e salvaguardare il potere d'acquisto dei propri lavoratori: bonus, welfare, anche lo smart working per favorire un risparmio sugli spostamenti. Ben venga tutto ciò, però serve un intervento strutturale per risolvere il problema alla radice».
Dal primo gennaio diventerà ufficialmente operativa Confindustria Veneto Est: ne guadagneranno anche i territori?
«Assolutamente sì. Da sempre sosteniamo la necessità di guardare al di là del campanile. È l'esperienza anche di altre importanti aree, come Milano e Bologna, gli altri due vertici del nuovo triangolo industriale italiano. La nuova area vasta comprende una gamma di imprese, attività, servizi molto più completa di quella che in passato riguardava la sola provincia di Treviso. Peraltro, questa visione non contrasta con il radicamento e l'attenzione alle specificità dei territori: rimarranno quattro sedi pienamente operative, un'offerta sempre più ampia di assistenza e consulenza, nuovi collaboratori, e ognuno dei quattro territori avrà un vicepresidente delegato e un rappresentante di sede, per dialogare con istituzioni, parti sociali e la comunità nelle sue varie espressioni».
A suo parere, bisogna proseguire sulla strada delle aggregazioni?
«Nessuna preclusione, ma in questo momento credo il focus debba essere rodare e far funzionare al meglio la nuova integrazione. Confindustria Veneto Est rappresenta un territorio omogeneo, mentre altre realtà hanno caratteristiche diverse».
Sulla strada delle aggregazioni devono seguirvi anche altri enti, ad esempio i Comuni?
«È naturalmente una scelta politica e amministrativa che ha un suo iter che rispettiamo. Da parte nostra abbiamo sempre sostenuto questi processi di collaborazione, coerentemente con la nostra scelta di integrarci, prima in Avc con Padova, e ora in Confindustria Veneto Est, anche con Venezia Rovigo. La nostra esperienza ci dice che far parte di un organismo più grande non toglie presenza a livello locale e consente anzi di rafforzare i servizi e la rappresentanza del territorio».
Perché è così importante pensare alle aggregazioni?
«Siamo convinti che sentirsi parte di un sistema territoriale ampio è la chiave per la programmazione e l'ottimizzazione delle risorse. Pensiamo, per fare alcuni esempi che coinvolgono Treviso, al sistema aeroportuale di Save, al Teatro stabile del Veneto, e in prospettiva all'organizzazione delle sedi universitarie».
La Marca resta un habitat favorevole per le imprese?
«C'è un humus fertile, negli anni, oltre ad un sistema basato sulla pura manifattura, si sono sviluppati anche i servizi, con un'integrazione di distretti e filiere. E garantire una buona qualità della vita, non solo all'interno, ma anche fuori dalle aziende, è fondamentale per attrarre professionalità e mantenere la competitività del territorio».
Perché si fatica ancora a trovare manodopera?
«Purtroppo è un problema strutturale, che parte dal dato di fatto dell'invecchiamento demografico e dal calo della natalità, nel trevigiano come nel resto d'Italia, e dalla difficoltà di essere pienamente attrattivi del capitale umano che ci sarebbe necessario. Anche qui, poi, vi sono troppi giovani che non studiano e non lavorano, oppure che abbandonano precocemente il percorso di studio».
Cosa si può fare?
«Non è facile indicare soluzioni, anche perché qualunque iniziativa avrà effetti tangibili solo nel medio-lungo termine. Come imprese siamo impegnate a migliorare il collegamento con le famiglie e il mondo della scuola. Ma quello demografico deve essere sentito come un problema di tutta la comunità, favorendo accoglienza e inserimento, di nuove vite e di chi ci raggiunge da altri territori».

 

Ultimo aggiornamento: 2 Gennaio, 09:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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