Dopo 25 anni nuovo processo sulla morte di Samuele Donatoni. La madre: «Chiedo la verità»

Martedì 22 Febbraio 2022 di Francesco Campi
Un sopralluogo nella zona dove Samuele Donatoni perse la vita il 17 ottobre 1997

ROVIGO - «Spero che finalmente la giustizia ristabilisca la verità. Ma ad ottobre saranno passati 25 anni dalla morte di Samuele ed il fatto che dopo tutto questo tempo ancora non sia finita, non fa che aggravare il mio dolore. Vedremo il 12 aprile, quando ci sarà la sentenza. L’unica cosa che posso dire è che mi sento presa in giro è che non è solo colpa loro». Sono le parole di una madre, Lauretta Negri, una madre alla quale è stato ucciso un figlio, Samuele Donatoni. Una vicenda di dolore e di mancate verità. Sulla quale è in corso l’ennesimo processo, davanti al Collegio della V Sezione Penale del Tribunale di Roma. Samuele Donatoni, originario di Canaro, era un servitore dello Stato, un poliziotto, un ispettore del Nucleo operativo centrale di sicurezza, caposcorta del procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli.

FALLITO BLITZ

Il 17 ottobre 1997, guidava la squadra che doveva eseguire il blitz per tentare la cattura dei rapitori dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, durante uno scambio di denaro, lungo la statale Tiburtina, all’altezza del bivio di Riofreddo, tra Lazio e Abruzzo. Ma nel corso dell’agguato notturno, in una sparatoria, Donatoni viene colpito ed ucciso. La verità nascosta è su chi sparò quel colpo. Se, infatti, i responsabili del rapimento sono stati poi individuati, arrestati e processati, sulla sua morte la vicenda giudiziaria non si è ancora chiusa. Inizialmente, infatti, due sentenze, della I Sezione della Corte d’Assise di Roma e della Corte d’Assise d’Appello di Roma, sulla base delle prime consulenze effettuate, ritennero che ad uccidere l’ispettore Donatoni fosse stato il kalashnikov di Mario Moro, il capo della banda di rapitori, che in seguito è morto e non è mai stato processato. Tuttavia, nel processo ad un altro dei rapinatori, Giovanni Farina, emerse che Donatoni era stato colpito da un proiettile esploso da una Beretta in dotazione alle forze di polizia, da distanza ravvicinata. “Fuoco amico”, quindi. La sentenza fu confermata in appello ed in Cassazione.

POLIZIOTTI NEI GUAI

Nel 2007, furono indagati per omicidio colposo e falsa testimonianza i Nocs Stefano Miscali e Claudio Sorrentino, ma il pm ne chiese l’archiviazione vista la prescrizione ormai imminente. I pm Erminio Amelio ed Elisabetta Ceniccola, però, hanno poi chiesto ed ottenuto dal gup Simonetta D’Alessandro, nel gennaio 2016, il rinvio a a giudizio dei due colleghi di Donatoni, Miscali e Sorrentino, che insieme a lui formavano la squadra scelta “Volpe 6”, una delle tante in azione quella notte, per i reati non ancora prescritti di calunnia pluriaggravata e falsa testimonianza aggravata, perché avrebbero fatto ricadere la colpa su Moro sapendolo innocente. Questo è il processo ancora in corso.
E giovedì, proprio il pm Amelio ha chiesto una condanna a 8 anni per Sorrentino e 7 per Miscali. «Rendiamo giustizia – ha detto - perché se Donatoni è morto, qualcuno l’ha ucciso. E se non sono stati i banditi, perché lo dicono le sentenze, qualche altra mano ha sparato». A sparare, secondo questa ricostruzione, sarebbe stato Miscali, mentre Sorrentino l’avrebbe coperto.

MISTERI E DEPISTAGGI

La mamma ed il papà di Donatoni sono costituiti parte civile con l’avvocato Armando Macrillò, che giovedì in aula ha detto: «Questo andamento ondivago, una prima verità, una seconda verità e questa, che è la verità definitiva, ce l’auspichiamo tutti col cuore, per Lauretta Negri. Samuele resta un eroe a prescindere da tutto, dall’errore dei colleghi che hanno lavorato con lui che gli volevano bene, ne siamo sicuri. Ma ci auspichiamo che il ricordo di questo eroe sia fondato sulla verità».
A dire “non è solo colpa loro” non è solo Lauretta Negri, ma è stato anche il magistrato Mario Alderighi, il giudice che il 14 dicembre 2005 ha assolto dall’accusa di omicidio Giovanni Farina e che sui “depistaggi, gravi omissioni, inquinamenti probatori e false e reticenti dichiarazioni testimoniali” emersi nel dibattimento, con la testimonianza decisiva, fra l’altro, di Nicola Calipari, poi passato al Sismi e ucciso in Iraq dopo aver liberato Giuliana Sgrena, anche lui colpito da “fuoco amico”, ha scritto un libro dal titolo eloquente: “Misteri di Stato”.
 

Ultimo aggiornamento: 15:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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