I Pigmei dell'esploratore Giovanni Miani, il "leone bianco del Nilo", dall'Africa a Rovigo

Venerdì 11 Marzo 2022 di Adriano Favaro
Gli Akka di Giovanni Miani

L'affascinante vita di Giovanni Miani, l'esploratore nato in Polesine, e definito poi il Leone bianco del Nilo, che dopo uno dei suoi molti viaggi nel continente nero decise di trasferire in Italia due giovani Akka, rappresentanti di una tribù che viveva in Congo

Quando arrivarono 150 anni fa nel Veneto, erano due adolescenti della tribù Akkà, etnia nomade del Congo. Finp ad allora l'Italia, e l'Europa avevano solo sentito parlare dei pigmei nei racconti del franco-americano Paule De Chaillu, esploratore figlio di una mulatta. E del tedesco George Schweinfurth, che tentò di portarne un pigmeo, scambiato con un cane, in Europa, ma l'individuo morirà per strada. Nessuno li aveva mai visti prima. E quindi, anche se gli antichi greci dicevano di sì, pareva non esistessero. L'idea era così forte che nel 1815 Giacomo Leopardi, allora diciassettenne derideva chi pensava che quelle popolazioni nane ci fossero davvero: «Da Omero fino al risorgimento delle scienze scriveva -, si è sempre creduta questa fola aggiungendo che 20 secoli per un errore è pur vergognosa agli uomini, e fatale alle scienze. Sbagliava di grosso.
Quando la Società geografica Italia riceve un telegramma da Alessandria firmato dal naturalista George Schweinfurth che scrive: «7 novembre.

Khartum Miani morto in Monbutto due pigmei manoscritti per voi confiscati colla barka. Schweinfurth», la prima reazione è del segretario, Orazio Antinori, che registra il messaggio e annota: due pigmei? Aggiungendo che, siccome Schweinfurth ha già dato notizia della tribù Akka, potrebbero essere anche due scheletri; comunque sarebbe cosa ugualmente interessante recuperare i manoscritti e le ossa appartenenti a un popolo di nani.


LA SCOPERTA

Il mistero viene svelato presto da due artigiani italiani che lavorano a Khartum e scrivono alla Società Geografica spiegando che sono arrivati gli avanzi del povero e intrepido viaggiatore Giovanni Miani morto nel novembre del 1872 nella regione equatoriale che stava esplorando alla ricerca delle sorgenti del Nilo. I due spiegano che assieme a carte, oggetti, lance, scudi ed armi ci sono due baam (gorilla) imbalsamati e in buono stato. E due uomini della tribù Tichi-Tichi ai quali (Miani) dette nome di Thibeaut - ex console di Francia - e di Cher-allà (fortuna di Dio).
Seguono le presunte età e le dimensioni (88 cm e 78) fornite da un medico italiano. Sbagliate, come vedremo.
Comincia così una piccola ma straordinaria storia italiana, meglio sarebbe veneta, degli Akka di Miani. A quei tempi il sogno colonialista dell'Europa stava prendendo piede anche attraverso gli esploratori che finivano in foreste savane o fiumi impetuosi.


IL RESOCONTO

Torniamo a Miani e a suoi due giovani Akka. La Società Geografica che si interroga se accettare l'eredità manda Paolo Panceri un medico ad accogliere i due pigmei per portarli in Italia. Viviano Domenici nel suo libro Uomini in gabbia recupera il lavoro del luminare che scrive: «Li trovai silenziosi, e indifferenti a quanto li circondava (...). Invano cercai di far brillare un sorriso sul loro volto atteggiato a mestizia, mista a certa tal quale stupidità». Arrivano a Napoli, e poi Roma, Firenze, A ogni tappa, ricorda Domenici «furono denudati, misurati e palpati in ogni modo genitali compresi da una fila di scienziati italiani e non, che arrivarono a conclusioni diverse ma concordi nel considerarli l'anello etnografico fra l'uomo e le scimmie antropomorfe.


LA BIOGRAFIA

Non sarà ricordato solo per i due pigmei Akka, Giovanni Miani, nato a Rovigo il 17 marzo del 1810 da padre ignoto e da Maddalena Miani. Rivoluzionario nel 1848 a Roma e nel 1849 a Venezia combattente a Forte Marghera, prima di diventare esploratore consumò la sua eredità venne accolto a Venezia dal nobile P.A. Bragadin, forse il vero padre che lasciò somme ingenti - con le donne e con l'idea di stampare una storia universale della musica. Un uomo che scriverà lettere di fuoco contro l'amministrazione comunale di Venezia che dopo una breve esposizione nasconde tutti i suoi regali nelle casse. Nel 1857 Miani presentò a Parigi un progetto per la scoperta delle sorgenti del Nilo diventando membro della Società geografica francese.
I pigmei di Miani nel tour scientifico per l'Italia furono accolti da scienziati di tutta Europa. Il grande interesse durò pochi anni tanto che l'altra pigmea, la bambina di nome Saida, arrivata in Italia con Romolo Gessi nel 1877 visse a Trieste quasi dimenticata dalla scienza. Sarà il conte Francesco Maniscalchi Erizzo (1811-1875), vicepresidente e finanziatore della Società geografica italiana (26 lingue conosciute), orientalista e filologo a tenerli in casa nella sua villa sul Garda (e in quella di Vidor nel Trevigiano). Studiano insieme ad altri ragazzi, si dimostrano svegli anche se con carattere particolare. Poi diventano servi nella casa Erizzo. Quando lui muore, tocca a Giuseppe De Leva, socio effettivo dell'istituto Veneto di Scienze lettere ed arti di Venezia commemorare nel 1876 il collega ricordando come abbia accolto i due pigmei cominciando a formulare un vocabolario della lingua akka, poi completato dal professor abate Giovanni Beltrame.


LA FINE

Ma chi sono i pigmei? Cesare Correnti, presidente della Società geografica italiana li descrive come fa Schweinfurth: «...gli ultimi avanzi d'un gran naufragio etnico, le estreme reliquie... di quella razza etiopica, della quale sono piene le tradizioni poetiche dei Greci... Ma si può avanzare anche un'altra ipotesi: cioè ... che codesti brani di popoli piccini... siano l'anello etnografico fra l'uomo e le scimmie antropomorfe. Anche se conclude nei suoi saggi - a me pareva leggere assai bene negli occhi loro, e nel sorriso, e nelle movenze le grazie della giovinezza, e lo splendore dell'intelligenza umana...».


L'ONORE

Uomini. Bimbi dalla spiccata intelligenza che sono a volte più bravi dei loro coetanei a scuola e che parlano bene l'italiano e che ora vengono chiamati, dopo il battesimo nel 1874, Tibò e Chierallà. A Verona studiano e imparano l'italiano dimenticando l'arabo e la loro lingua madre. Ogni tanto fanno sosta nella villa di Vidor e si sottopongono a qualche visita scientifica come accade anche a Saida.
Dopo qualche anno anche i pigmei (i filologi scopriranno che i due appartengono a differenti tribù) non sono più fenomeni. Le cronache di allora dicono che vennero portati dal loro maestro privato a Rovigo di fronte al busto di marmo di Miani e lo riconobbero, baciandolo. Ma nessuno può credere ora a questa storia. Il primo pigmeo veneto, Tukuba Tibò-Francesco, finisce la propria esistenza nel gennaio del 1883, è alto meno di un metro e 42. Su Chirallà, che aveva 17 anni, alto 1,33 si spegne il radar della scienza. E finisce la piccola storia dei primi pigmei veneti.


 

Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 09:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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