Fabio Michelotto lascia la Rugby Rovigo per tornare a lavorare nei campi

Lunedì 27 Aprile 2020 di Ivan Malfatto
Fabio Michelotto della FemiCz Rugby Rovigo cattura un pallone in touche
ROVIGO - «Allenarsi due volte al giorno per il Top 12 di rugby e lavorare 12 ore al giorno sui campi non sono scelte compatibili. O fai l’una, o l’altra, altrimenti rischi di fare male tutte e due. Così dopo una stagione dove ho realizzato il mio sogno, di bambino e rugbista, indossare la maglia rossoblù torno a fare l’agricoltore a tempo pieno. Lo faccio a malincuore, ma pienamente consapevole della scelta. Grazie a tutti: compagni, società, allenatori, tifosi. È stato un anno fantastico».

Così parlò Fabio Michelotto, 26 anni a giugno, gigante di terza linea (1,93x108) e novello Cincinnato. Il rugby è una delle cose più belle della vita, ma di rugby non si vive. Perlomeno nel campionato italiano. Così al prato e al fango dello stadio “Battaglini”, dove nella stagione monca per il Coronavirus ha avuto la gioia di vincere la prima Coppa Italia nella storia dei Bersaglieri, preferisce la terra dell’azienda agricola di famiglia a Fiesso Umbertiano. «Una cinquantina di ettari sulla Piacentina, verso Occhiobello - racconta Michelotto - Li coltivo insieme a mio padre Giuseppe e ai suoi fratelli, Valentino e Vincenzo. Mais, soia, grano barbabietole, ma anche lavori per conto terzi. Ad esempio la trebbiatura (come i fratelli Salvan, altri rugbisti), quando inizi all’alba e non sai a che ora finisci».

DAL BADIA AL ROVIGO E RITORNO
Michelotto gioca da quando ha 11 anni, insieme al fratello Diego, pilone-seconda linea. Lo spirito di questo sport ce l’ha impastato nel carattere: serio, umile, lavoratore, di poche parole, disposto al sacrificio per la squadra senza lamentarsi mai. «Sono i valori per i quali mi sono innamorato del rugby. Ed è quanto mi hanno insegnato tutti i miei allenatori fin da piccolo» dice. «Un vero contadino, tosto, di quelli che in mischia si sente» raccontava di lui Franchino Properzi, tecnico del pack e leggenda azzurra. «Poche parole e tanta voglia di fare bene, una perdita per noi» lo definisce così coach Umberto Casellato.
Fino alla scorsa stagione Michelotto aveva giocato a Badia, nelle giovanili, in serie B e poi in A. Dove poteva allenarsi la sera un paio di volte la settimana e dove tornerà. «Se mi ritengono ancora utile e mi vorranno» dice. Quest’anno si è concesso l’avventura nel Top 12. «Mi ha telefonato Casellato. Ho parlato con Alessandro Lodi e Niccolò Badocchi. Mi hanno ritenuto all’altezza del Rovigo e così ho potuto realizzare il sogno di giocare con i Bersaglieri».

Poteva essere una comparsa, un rincalzo della FemiCz con 37 giocatori e 6 stranieri in rosa. Invece è diventato un protagonista, è stato la rivelazione stagionale. Duro nei placcaggi. Solido in mischia. Coraggioso nei raggruppamenti. Bello quando partiva palla in mano. Su 17 partite fra campionato (12) e Coppa Italia (5) è stato convocato 16 volte, mettendo insieme 629’ e segnando una meta. «Non mi aspettava neanch’io di andare così bene - confessa - C’erano compagni tecnicamente e atleticamente più dotati di me. Ci ho messo un po’ ad ingranare, il salto dalla serie A al Top 12 si sente. Ma è andato tutto bene, praticamente ho sempre giocato». Ed è diventato la controfigura di Matteo Ferro. «E’ vero - ride - in tanti mi hanno detto che di spalle ci somigliavamo e in campo ci confondevano».

CONTROFIGURA DI FERRO
Proprio al suo capitano, nei giorni scorsi, ha confidato la scelta di vita di lasciare la Rugby Rovigo per il lavoro nei campi. «L’ho detto a lui e ad Edo Lubian, tanti altri non lo sanno. Mi hanno risposto che non dovevo farlo, che sbagliavo e dovevo restare. Ma la vita è fatta anche di rinunce, non solo di gioie. E non c’è solo il rugby. Restare e giocare saltando gli allenamenti non sarebbe corretto verso la società e i compagni. Se l’avessi fatto non sarei stato in pace con me stesso. Quindi la mia settimana tipo non sarà più venire al “Battaglini” due volte al giorno e la partita il sabato. Ma lavorare sui campi dalle otto di mattina alle otto di sera».

Una scelta da rugbista d’altri tempi. Da pilone irlandese o terza linea inglese del Cinque Nazioni in bianco e nero. Un esempio per tanti ragazzi. Con il “professionismo straccione” del rugby italiano non si costruisce un futuro. Bisogna studiare, lavorare, avere un’altra attività. Così quando finisce il sogno di una stagione da Bersagliere resti aggrappato alla realtà. Nel ruolo di numero 8 forse arriverà un sudafricano, voci di mercato dicono Carel Greef dei Medicei, ma il suo posto nella storia rossoblù Michelotto se l’è ritagliato per sempre.

 
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