Ma quale terrorismo? Smontate
le accuse contro l’armata venetista

Sabato 3 Maggio 2014 di Giuseppe Pietrobelli
Ma quale terrorismo? Smontate le accuse contro l’armata venetista
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Altro che terrorismo, associazione eversiva dell’ordinamento democratico, banda pronta alla violenza indiscriminata per sollevare il panico tra la popolazione.

Solo un’armata brancaleone in salsa veneta, che portava il nome di "Alleanza", ma era costituita da pochi uomini che mai avrebbero potuto raggiungere gli obiettivi che con parole eccitate e trionfalistiche annunciavano nelle riunioni segrete.

Coltivavano, è vero, il progetto idealmente sovversivo di staccare il Lombardo-Veneto dall’Italia, il che è vietato dall’articolo 5 della Costituzione. Ma non avevano pianificato come mezzo di lotta la violenza, anzi prevedevano alcune, limitate, azioni dimostrative. Il temibile "tanko", un carroarmato fatto in casa? Soltanto un simbolo, un mezzo difensivo, un totem da esibire, più che un mezzo pronto allo sterminio.

A due settimane dalle scarcerazioni dei venetisti, il Tribunale del Riesame di Brescia spiega la decisione che destò scalpore perché aveva demolito, in poche righe, la competenza dei magistrati lombardi e dichiarato che non vi erano gravi indizi che provassero l’esistenza di un’associazione eversiva con finalità di terrorismo. Ecco 66 pagine ancora più dirompenti, perché fanno tabula rasa della parte più succosa dell’inchiesta. Dopo due anni di accertamenti dei carabinieri del Ros, centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e appostamenti, rimane in piedi solo il capitolo relativo al "tanko" che viene però depotenziato della sua supposta natura di "arma da guerra", a patto di dimostrare che abbia davvero la capacità di sparare.

I 24 venetisti non dovevano essere arrestati, al massimo un pugno di loro meritava i domiciliari per aver costruito il "tanko". Il Gip di Rovigo ha revocato proprio ieri tale regime per sei indagati, che ora avranno solo l’obbligo di firma quotidiana ai carabinieri. Il provvedimento riguarda Michele Cattaneo, Flavio Contin, Stefano Ferrari, Tiziano Lanza, Corrado Turco e Luca Vangelista, tutti coinvolti nella costruzione del "tanko".

LA COMPETENZA. I giudici di Brescia hanno stabilito innanzitutto che la competenza è in Veneto. Perché l’associazione asseritamente eversiva non si formò il 26 maggio 2012 nel ristorante dell’Azienda agricola Boschi di Erbusco, quando avvenne un primo incontro di indipendentisti veneti, bresciani e sardi, bensì a Casale di Scodosia, in provincia di Padova, sotto la giurisdizione dei magistrati polesani. Fu lì che venne costruito il "tanko" e si tenne il giuramento dei "patrioti". Era il 7 ottobre 2012.

REQUISITI INESISTENTI. I giudici passano al terrorismo. Perché sussista serve un’organizzazione che - in base a sentenze della Cassazione che si riferiscono anche ai "serenissimi" del 1997 - abbia i requisiti di una "azione diretta", di "atti violenti" e di "idoneità" a sovvertire l’ordinamento. «Altrimenti si finirebbe per reprimere idee, piuttosto che fatti e riaffermare la legittimità di un reato "di opinione"». Questi requisiti non c’erano.

IL FINE NON BASTA. Il Riesame è convinto che i venetisti abbiano un "fine eversivo", visto che vogliono la liberazione di una regione e intendono abbattere il potere dello Stato italiano. «Ma occorre verificare se essi abbiano avuto il proposito di compiere atti di violenza e se tale violenza possa essere qualificata come terroristica». Ancora una volta la risposta è negativa.

ATTI CIRCOSCRITTI. Non c’è un riferimento ad azioni indiscriminate, ma «ad atti esecutivi ben individuabili». Essenzialmente tre: «l’occupazione di piazza San Marco con il "tanko"... l’intervento di un ristretto gruppo di persone... l’appoggio di una nutrita folla di simpatizzanti». Appartengono al novero delle chiacchiere l’uso di armi leggere, i "cecchini" sui tetti, le insurrezioni in altre città, «l’occupazione di altri luoghi simbolici quali un torrione del castello di Brescia e un’altra torre in Valcamonica».

NESSUNA INTENZIONE OFFENSIVA. I giudici sono tassativi su tre punti. «In primo luogo, alcuno dei suddetti atti esecutivi è stato sorretto dall’intenzione di aggredire, o cagionare pregiudizi personali a terzi». Il "tanko"? «Aveva una funzione di resistenza, difesa, protezione, era un simbolo».

AZIONI DIMOSTRATIVE. Altro che attacco al cuore dello Stato. Il secondo punto: «L’occupazione di piazza San Marco e di altri luoghi emblematici sono stati concepiti come atti a scopo prettamente dimostrativo, nient’affatto finalizzati a un’effettiva presa definitiva di un territorio, nè a un’immediata creazione di un nuovo Stato Veneto, quanto volti a sensibilizzare l’opinione pubblica».

VIOLENZA LIMITATA. Terzo punto: «Le poche circoscritte azioni violente programmate risultano inquadrabili in ipotesi illecite di fabbricazione, detenzione e porto illegale di armi, di resistenza, danneggiamento, ovvero di riunioni pubbliche non autorizzate, ma non di reati contro la persona, contro l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica».

VELLEITARISMO. Non ci sarebbero mai riusciti.

I giudici ne sono convinti. «Sussistono gravi perplessità sulla effettiva capacità di occupare piazza San Marco, conseguire la disponibilità di armi leggere, ottenere l’appoggio di una nutrita folla, suscitare il seguito di massa in altre piazze italiane». Una rivoluzione soltanto sognata.

Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 08:12

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