Più mutui e 3 miliardi di risparmi sui titoli di Stato: l'effetto di inflazione e tassi d'interesse sui veneti

La Banca d'Italia: rincari sui mutui variabili del 24% nell'anno (altri 129 euro al mese). Va peggio ai poveri

Venerdì 23 Giugno 2023 di Maurizio Crema
Un laboratorio di un'azienda tessile

VENEZIA - I veneti scottati dall'inflazione e dai rialzi dei tassi d'interesse pagano di più i mutui e tornano al vecchio amore investendo in titoli di Stato sullo sfondo di un'economia che malgrado rallenti dovrebbe ancora crescere meglio del resto d'Italia.

«C'è stata un'erosione della liquidità di famiglie venete, che hanno visto il loro reddito reale scendere dell'1,7% a causa del netto aumento dell'inflazione che ha determinato anche un cambio negli investimenti finanziari col ritorno ai titoli di Stato italiani e un calo degli investimenti delle imprese», spiega il direttore della sede di Venezia della Banca d'Italia, Pier Luigi Ruggiero. Stupisce che ancora oggi quasi il 46% dei veneti abbia un mutuo a tasso variabile, che ha subito un aumento secco del 24% della rata media per famiglia nell'anno in corso, un rincaro di 129 euro al mese. «Un aumento sale al 26% per le famiglie che hanno rate più contenute e che spesso sono quelle meno abbienti, il maggior onere porterebbe a una rata più alta del 5% circa», sottolinea Vanni Mengotto, capo della divisione ricerche economiche della sede di Venezia di Bankitalia, ricordando che nel 2014 «i veneti col mutuo a tasso variabile erano l'82%».

L'inflazione ancora una volta è una tassa occulta che pesa di più sui meno abbienti, con le famiglie in povertà energetica (che spesso si trovano in case meno efficienti dal punto di vista del riscaldamento e quindi più costose) che già nel 2021 erano al 5,6% del totale, in aumento di mezzo punto percentuale sull'anno precedente.

Se si considera il quinquennio 2017-2021 si sale al 6,1%, cioè 126mila famiglie. «Un dato dovrebbe essere aumentato, anche se il Veneto registra percentuali più basse di famiglie in povertà energetica rispetto al resto d'Italia», ricorda Mengotto.

Ma l'inflazione a oltre l'11% nel 2022 e sempre alta anche quest'anno (intorno al 7%) combinata col brusco rialzo dei tassi di interesse (non ancora finito) ha determinato anche un altro cambiamento di rotta deciso tra i veneti registrato dalla Banca d'Italia: per la prima volta da anni i soldi in deposito nelle banche (liquidi) sono calati. Quasi di 3 miliardi a marzo scorso rispetto a fine dicembre 2022 (- 1,5%, ora sono a 103,8 miliardi) mentre per le imprese sono scesi da 52,2 a 48,8 miliardi (- 1,8%). C'era da supplire ai maggiori costi (che hanno determinato anche un calo dei margini delle imprese regionali). Ma anche da difendersi dalla svalutazione. E i veneti sono tornati a investire in Bot e Btp. «Da fine anno al marzo scorso i titoli di stato delle famiglie sono passati da un valore di 9,4 miliardi a 12,6 miliardi, aumento di oltre l'87%. Molto probabile che la gran parte di questa crescita siano nuove sottoscrizioni», spiega Mengotto. Le imprese nel periodo hanno investito il 277% in più ma sono solo a 1,38 miliardi.

IN SVILUPPO

Questo il quadro di un'economia che continua a crescere anche nel 2023 grazie all'export e al turismo. Il prodotto interno lordo del Veneto, nel 2022, è cresciuto in termini reali del 3,7%, in linea col dato nazionale ma in rallentamento sul 2022. «Il Pil regionale - conferma Annalisa Frigo, della Divisione analisi e ricerca economica - si è portato sul livello pre-pandemico. C'è stata una stagnazione dell'attività economica verso fine anno, mentre nei primi mesi del 2023 l'indicatore è tornato in territorio positivo grazie al contributo del turismo e della manifattura». La produzione industriale è salita del 4,5%, seppur indebolita a causa dei rincari. E nei primi mesi del 2023 si è sempre al + 2,2%. «Il settore - aggiunge Frigo - ha ripreso a crescere nel 2023. Ridotti però gli ordini, soprattutto esteri, per l'indebolimento internazionale». Bene l'edilizia. Export: + 4,5% nel 2022 (+ 13% nel 2021). «Le esportazioni di tutti i comparti veneti - osserva Frigo - tranne il tessile e quello della componentistica di autoveicoli, hanno superato il pre Covid. Crescono anche le presenze turistiche, con un grosso contributo da parte dei tedeschi, e il numero dei nuovi occupati, salito del 3,1%, dato sopra la media nazionale (2,4%)». E i margini? In calo ma tengono perché se i prezzi di vendita salgono meno delle spese, il costo del lavoro è in stallo: + 1,6%.

Per questo i redditi reali scendono e i consumi (+ 6%) restano sotto al pre Covid. «Almeno per ora - osserva Ruggiero - il sistema produttivo regionale manifesta una forte resistenza grazie alle ristrutturazioni delle crisi precedenti. Il comparto della meccanica e degli apparecchi elettrici ha risultati lusinghieri, mentre non ci sono allarmi sul credito anche se i prestiti in aprile sono scesi (- 3,1% per le imprese). Fondamentale il ruolo degli enti territoriali e l'importanza dei fondi del Pnrr, sulla cui attuazione c'è grande attenzione e una capacità di spesa migliore di altre regioni».

Ultimo aggiornamento: 15:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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