Il Nordest e la Lega: i nodi da sciogliere

Martedì 1 Febbraio 2022 di Roberto Papetti
Matteo Salvini
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L’assordante silenzio con cui a Nordest i dirigenti di prima fila e i più importanti amministratori delle Lega hanno accolto l’esito della partita per l’elezione del Capo dello Stato, è eloquente più di qualsiasi intervista del clima e del disagio che si respira in questi giorni dentro il movimento.

E non solo lì. Basta infatti qualche informale scambio di battute nel territorio per capire come i sentimenti (e i risentimenti) che agitano tanti militanti e amministratori siano largamente condivisi anche dai tanti pezzi di mondo dell’impresa e di società civile che, in questi anni, hanno garantito il primato politico della Lega in Veneto e Friuli Venezia Giulia, apprezzandone il pragmatismo e l’efficienza amministrativa. In discussione non c’è ovviamente la conclusione della vicenda quirinalizia: Sergio Mattarella da Capo dello Stato ha sempre goduto a Nordest di ampi consensi (l’ultimo sondaggio del nostro Osservatorio lo collocava oltre 70% di gradimento) e, in un contesto internazionale così carico di incertezze come quello attuale, il segnale di stabilità che la sua riconferma (e quella del governo Draghi) porta con sè, non poteva che essere apprezzato a Nordest.

Il malessere, dentro e fuori la Lega, ha un’altra origine: lo sconcerto generato dalla convulsa e inconcludente gestione dell’elezione del Presidente della Repubblica da parte del Carroccio e, in particolare, del perchè ci sono pochi dubbi: il surreale gioco dell'oca che ha visto per una settimana i partiti affannarsi intorno al Quirinale, salvo poi tornare tutti al punto di partenza, ha lasciato ferite e lacerazioni in ogni forza politica. Al Paese e ai cittadini è stato offerto uno sconfortante spettacolo di inadeguatezza e di inconsistenza, da cui quasi nessuno può chiamarsi fuori. Ma da questo passaggio sono la Lega e soprattutto il suo leader ad uscire più ammaccato e in crisi. Diversi osservatori in questi giorni hanno accusato Salvini di ignorare la grammatica istituzionale, ossia quelle regole base necessarie per affrontare passaggi delicati come l'elezione di un Capo dello Stato. Sappiamo che Salvini non gode di ottima stampa in molti ambienti, ma è difficile non essere d'accordo con queste critiche. Le modalità con cui, per esempio, Elisabetta Casellati è stata mandata al massacro o il modo in cui è stata bruciata in diretta tv la candidatura di Elisabetta Belloni parlano da sole. Ma non è questo il punto. La grammatica istituzionale, con un po' di applicazione e di esperienza, si impara. E in ogni caso, Salvini non è certo l'unico, dentro e fuori il centrodestra, ad aver commesso nei giorni scorsi errori marchiani e ad aver dato la sensazione di muoversi senza gran costrutto nè obiettivi chiari. No, la questione crediamo sia più profonda. E la gestione della partita Quirinale ne rappresenta solo il punto (per ora) finale. Dalla crisi del Papeete ad oggi, passando dalle incomprensibili candidature a sindaco in alcune grandi città alle ricorrenti strizzate d'occhio a no vax e no pass, Salvini è apparso preda di un tatticismo esasperato, fine a se stesso o finalizzato tuttalpiù a compiacere i social o a rintuzzare la concorrenza crescente di Fdi e di Giorgia Meloni. Nell'azione politica del capo leghista è sembrata invece mancare un'agenda e un'idea di Paese. Di Nord e di Sud. Di ruolo geo-politico dell'Italia e della sua collocazione nell'Europa. L'affannosa gestione della partita Quirinale è la conseguenza di questo. Deriva dalla mancanza di una strategia, o almeno di un orizzonte, all'interno di cui collocare scelte e passaggi chiave come l'elezione di un Capo dello Stato. Non un problema di scarso peso per un leader che intende guidare il centrodestra e il cui partito è già al comando di alcune delle più importanti regioni italiane. Oggi a Milano è convocato il consiglio federale della Lega, l'organismo di maggiore rilevanza politica del movimento. Difficilmente ne usciranno scelte o svolte clamorose. Il Carroccio, per statuto e storia, è un partito monolitico, con regole interne ferree che non agevolano i cambiamenti repentini. E Salvini ha già fatto capire di non essere intenzionato ad aprire un vero dibattito interno, spostando piuttosto il confronto sul tema della vagheggiata federazione del centrodestra. Ma è evidente che la Lega, se vuole conservare il ruolo che ha nel Paese e anche nelle regioni dove più forte è il suo insediamento politico e sociale, ha quantomai bisogno di un chiaro cambio di passo. E probabilmente non solo di questo.

Ultimo aggiornamento: 10:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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