Salvini: «Mai più servi di Berlusconi»
E Zaia rilancia il referendum veneto

Domenica 18 Settembre 2016
Mattro Salvini a Pontida
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PONTIDA - Se c'è ancora un interlocutore nel centrodestra, si chiama Silvio Berlusconi, non certo Stefano Parisi o chi voterà sì al referendum costituzionale. Ma sia chiaro: «Se qualcuno pensa che il futuro della Lega sia quello di un piccolo partito servo di qualcun altro, di Berlusconi o Forza Italia, ha sbagliato».
Matteo Salvini ha chiuso la Pontida settembrina confermando la convinzione che nuove alleanze a livello nazionale si faranno solo alle sue condizioni. E rispolverando il vecchio progetto di una riforma costituzionale che trasformi l'Italia in una repubblica federale e presidenziale, possibilmente fuori dall'Ue. «Accordi al ribasso non si fanno - ha scandito il segretario della Lega dal palco - non mi interessa avere il 4% per avere 20 parlamentari. Voglio cambiare il Paese, ma voglio farlo come voglio io. La Lega rimane la Lega, ma cresce: io sono qui per vincere e andare a governare».
Un messaggio che Salvini non ha indirizzato solo ai potenziali alleati, ma forzatamente anche a Umberto Bossi, il presidente-fondatore che poco prima dallo stesso palco aveva criticato la sua linea politica nazionalista e anti-europeista. Per il Senatur, la Lega «non sarà mai un partito nazionale», ma deve continuare a perseguire quello «per cui è nata, la secessione della Padania», la cui dichiarazione di indipendenza avvenne proprio vent'anni fa (da qui lo spostamento di Pontida a settembre). Perché il nemico è sempre «il centralismo romano», più che l'Unione europea. Tanto affetto, ma non un'approvazione diffusa per il vecchio capo, che finito il raduno ha pranzato da solo in un ristorante di Pontida insieme agli autisti.
Non fosse stato per lo sgambetto di Bossi, sarebbe stata una Pontida tutta incentrata sul Salvini-pensiero, declamato con comizi fotocopia dai giovani leghisti emergenti, che hanno ottenuto dal segretario la promessa del vincolo dei due mandati per pensionare proprio la vecchia guardia. Sul pratone c'era un mix di bandiere regionali italiane, gazebo col sole delle Alpi ma anche con i prodotti tipici del sud, lo stand degli amici di Putin e quello degli anti-Bergoglio, senza contare i fischi a Gad Lerner in tribuna stampa e al Tg1, subito ridimensionati dal giornalista («non è successo nulla»). Salvini ha mandato «un abbraccio» di gratitudine a Bossi, per chiudere la polemica. Ma ha dovuto comunque rassicurare che l'indipendenza del Nord («finchè ci sarò io resterà l'obiettivo», ha detto Roberto Calderoli, mentre Roberto Maroni ha rispolverato un «Roma ladrona») non è stata accantonata.
Da parte sua, il governatore Luca Zaia ha rilanciato il referendum per l’autonomia del Veneto («sarà il primo della storia») sottolineando che «il vecchio centrodestra non esiste più, esiste un’idea centralista di Roma e quella nostra, quella che dice gli immigrati devono rispettare le regole sennò vanno via, quella che il lavoro va dato prima agli italiani». Poi ancora Salvini: «Prima ci liberiamo dall'Europa dei massoni e delle banche, poi ognuno decide come fare. Questo Paese sta insieme solo con il federalismo, l'unione delle diversità».
Ecco perché il segretario federale ha lanciato la proposta di un patto per sconfiggere Renzi al referendum e tornare al governo per una riforma che già aveva scaldato il "vecchio" centrodestra guidato proprio da Berlusconi e Bossi: uno Stato federale, con un presidente della Repubblica a capo del governo ed eletto dal popolo, una sola Camera con vincolo di mandato per i parlamentari, la possibilità di referendum sui trattati internazionali (come quelli Ue) e l'elezione diretta dei magistrati. Obiettivo: una Lega al 30%. Anche a costo di rimanere da soli. Ipotesi che Stefano Parisi,il giorno dopo la chiusura della sua convention, spera di scongiurare: «Sono convinto - assicura - che con la scadenza elettorale alla fine l'unità si troverà».
Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 08:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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