Ranieri da Mosto, i 100 anni del patrizio veneto: «Io partigiano finito nella Lega Nord»

Dal Pri al Carroccio di Bossi: "A casa mia la prima riunione del governo della Padania"

Martedì 2 Aprile 2024 di Alessandro Marzo Magno
Ranieri da Mosto

VENEZIA - È stato partigiano del Partito d'Azione, quindi uno dei primi aderenti della Lega Nord a Venezia; per oltre trent'anni giornalista della sede Rai del Veneto; autore di "Il Veneto in cucina", pubblicato nel 1969, uno dei più importanti testi mai usciti sulla gastronomia veneta; cofondatore nel 1992 dell'Iveser (Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea) e a lungo componente del direttivo; ora ha compiuto cento anni. Ranieri da Mosto, patrizio veneto, discendente di quell'Alvise da Mosto che nel 1455, per conto del re del Portogallo, ha scoperto le isole di Capo Verde e risalito per primo il fiume Senegal, vive in un palazzo di sconvolgente bellezza che si era salvato prima dalle spoliazioni dell'epoca napoleonica e poi dalle svendite ottocentesche che hanno disperso buona parte del patrimonio artistico veneziano.

Conserva un'ammirabile lucidità e un fine senso dell'ironia che lo fa ancora sorridere al pensiero di essere stato arrestato dai fascisti mentre un gesso al braccio destro gli aveva immobilizzato l'arto proteso in alto nel gesto del saluto fascista, nonché di essere stato mandato, una volta arruolato forzosamente tra i militari della Rsi, a sorvegliare in divisa fascista lo stesso carcere veneziano di Santa Maria Maggiore dov'era stato rinchiuso un paio di mesi prima in quanto antifascista.

Com'è entrato nella lotta partigiana?
«Mio padre, Andrea, direttore dell'Archivio di stato e autore del libro sui dogi di Venezia, era antifascista, a lui devo la mia formazione, anche se era ormai ottantenne e certo non poteva agire in prima persona. Le cose sono poi venute un po' da sé. Io e altri giovani antifascisti avevamo come riferimento un professore del liceo Foscarini, Agostino Zanon Dal Bo, che era stato tra i fondatori del Partito d'Azione, e poi partigiano. La prima riunione del Partito d'Azione del Veneto si è tenuta qui, a casa mia, nell'agosto 1943. Il palazzo ha tre ingressi per cui era più semplice entrare senza dare nell'occhio ed eventualmente fuggire. Era presente anche il trevisano Bruno Visentini, a cui sono rimasto legato per tutta la vita. All'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 un mio amico mi ha telefonato per dirmi che alcuni giovani avevano lasciato quattordici fucili in una trattoria ai piedi del ponte di Rialto. Io ho pensato che era peccato buttarli via, e ho detto di metterli al sicuro. Sono stati quindi nascosti al Lido, ma dopo la costituzione della Repubblica sociale italiana chi li nascondeva ha avuto paura e ha avvisato la polizia di andarli e prendere. Quindi i fascisti hanno avuto il mio nome. Intanto avevo avuto un'operazione alla spalla destra e mi avevano ingessato il braccio destro piegato verso l'alto. Quando sono venuti a prendermi, nel dicembre 1943, mi hanno portato nel carcere di Santa Maria Maggiore col braccio che sembrava facesse il saluto fascista. Mi hanno messo in una cella di transito, la numero 7, assieme ad altri 12 prigionieri, detenuti soprattutto per reati comuni: uno aveva rubato un chilo di polpette per darle ai figli affamati, cose così. Poi c'era un serbo, Danilo Raskovic, che aveva lavorato nella latteria Soresina, in Lombardia, e dopo l'8 settembre aveva cercato di tornare a casa. L'avevano arrestato mentre stava andando verso la Jugoslavia; questo serbo mi ha aiutato tantissimo: a vestirmi, a rassettare la branda, a lavarmi, perché io avevo sempre il braccio ingessato. La cella aveva i vetri rotti e faceva un freddo ladro: camminavamo e cantavamo tentando di scaldarci. Comunque mia madre ha smosso mari e monti finché mi sono stati concessi gli arresti domiciliari. Dopo qualche tempo sono stato richiamato alle armi, mi sono ritrovato in un piccolo ufficio dove ho rubato un pacco di lasciapassare in bianco per giovani in età di leva e li ho distribuiti tra tutti i partiti, compreso il Pci. Comunque mi hanno mandato a fare la guardia fuori da Santa Maria Maggiore, dove poco tempo prima ero stato rinchiuso. Quindi sono riuscito a tornare a casa per via dell'operazione al braccio, e a muovermi abbastanza liberamente grazie ai lasciapassare. Sono sempre rimasto a Venezia e ogni tanto tornavo a casa per salutare i miei. Eravamo un gruppo di partigiani azionisti raccogliticcio, disordinato, abbiamo compiuto un'azione dimostrativa, senza armi da fuoco, dalle parti dell'Opera nazionale balilla, ai Carmini, che in seguito mi ha fatto qualificare partigiano combattente».

Nel dopoguerra com'è diventato giornalista alla Rai?
«È stato grazie a Eugenio Ottolenghi, giornalista, partigiano, e in seguito primo caporedattore della sede Rai del Veneto. Avevo qualche contatto con la radio nazionale a mi avevano fatto leggere il notiziario perché in quel momento ero l'unico in grado di parlare un italiano corretto. Lavoravo così, senza contratto, c'era il disordine più completo, e Ottolenghi mi ha insegnato il mestiere. Poi sono stato assunto, ho sempre lavorato nel Veneto e sono andato in pensione a metà anni Ottanta».

Lei ha scritto uno dei testi fondamentali sulla cucina veneta.
«Assieme a un collega avevamo una rubrica quindicinale, lui si occupava della parte dei vini, io facevo la parte della cucina. Mi ritrovai con un sacco di materiale accumulato nel tempo e un'estate ebbi la possibilità di riordinarlo e di scrivere questo libro che ebbe fortuna, e diverse edizioni. Apprezzavo il buon cibo, ovviamente, e sono diventato amico di Bepo Maffioli, altro autore di importanti libri di cucina».

Lei militava nel Partito repubblicano e poi è passato alla Lega, come mai?
«Ero amico di Bruno Visentini, come detto, che fu ministro delle Finanze, poi sono diventato amico del segretario Ugo La Malfa. Ho partecipato alla stesura della riforma della Rai perché me lo aveva chiesto un altro parlamentare repubblicano, Giorgio Bogi, che a metà anni Settanta faceva parte della Commissione di vigilanza Rai. Ma il Pri era un piccolo partito, quindi in seguito sono passato alla Lega, per cercare di incidere un po'. Nella mia casa si è tenuta la prima riunione del Governo Sole della Padania, con Umberto Bossi, all'inizio degli anni Novanta. In seguito sono stato eletto consigliere comunale della Lega e sono riuscito a far sì che venisse istituita la nuova fermata del vaporetto "Rialto mercato" per rivitalizzare quella zona della città che già stava decadendo».

Come vede il futuro di Venezia?
«Ho in mente una proposta per uno sconto fiscale del 20 per cento per i veneti, istriani e dalmati, ma più in generale tutti gli ex sudditi della Serenissima, che vengano ad abitare a Venezia. Sarebbe un modo per attirare nuova popolazione in città, ma non sono ancora riuscito a presentare questa proposta, avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse».
 

Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 11:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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