Processo ai Casalesi di Eraclea, la figlia dell'imprenditore Pasqual: «Minacciò di bruciarci nell'auto»

Venerdì 30 Aprile 2021 di Maurizio Dianese
Processo ai Casalesi di Eraclea, la figlia dell'imprenditore Pasqual: «Minacciò di bruciarci nell'auto»

VENEZIA «Papà mi stava portando a scuola e si è avvicinata un'auto. Attraverso il finestrino ci hanno urlato ti brucio la macchina con voi dentro. Io ero piccola, ma mi accorgevo che ci seguivano dalla nonna, dalle amiche, a scuola. Papà non diceva niente, non ci ha mai detto niente per proteggerci, ma non dormiva la notte». Ludovico Pasqual conferma il racconto della figlia, che lo ha accompagnato in aula bunker a Mestre a testimoniare al processo contro i casalesi di Eraclea. «Non voleva venire, ha ancora paura, anche se li hanno arrestati tutti», aggiunge la figlia, che ha atteso all'esterno dell'aula dove Ludovico Pasqual ha raccontato i tre anni di inferno che ha vissuto con la moglie Mirella e i quattro figli quando è finito nel tritacarne della banda.


54 anni, pordenonese di origine, ma residente nella terra dei casalesi e cioè ad Eraclea, Pasqual era un piccolo imprenditore edile che per motivi di lavoro nel 2003 era entrato in contatto con Francesco Verde e Antonio Pacifico, due del clan dei casalesi che faceva capo a Luciano Donadio.

E a Donadio più di una volta Pasqual si era rivolto per tenere sotto controllo le pretese da strozzini di Verde e Pacifico. «Che non solo mi hanno chiesto il 20% di interessi mensili su 12mila euro che mi avevano prestato, ma mi rivendevano le latte di colore che avevano rubato non so dove e comandavano in tutti i cantieri nei quali mi impiantavo. Io per toglierli di mezzo ad un certo punto sono andato da Donadio, che mi sembrava una brava persona. A Eraclea tutti mi parlavano bene di lui. Poi ho capito...».


Troppo tardi, quando ormai non poteva far più niente se non denunciare e chiedere protezione. «Ma tanti altri imprenditori che erano nelle mie stesse condizioni non hanno denunciato». Tant'è che Paqual è l'unico che si è costituito parte civile al processo contro i casalesi. Vuol dire che tra mille che hanno avuto a che fare con i casalesi è l'unico privato cittadino che chiede i danni al clan per quegli anni vissuti nel terrore. Certo la sua testimonianza si presta ad essere terremotata dagli abilissimi avvocati difensori di Donadio & Co. perchè qualche volta imprecisa, incerta, ma proprio per questo appare più che mai genuina dal momento che uno che ha vissuto quello che ha passato lui è facile che dimentichi o che amplifichi, distorca e straveda. Perchè questo omone grande e grosso che incespica e non ricorda, biascica e si confonde, sicuramente su qualche passaggio scopre il fianco agli attacchi della difesa, ma se sta recitando allora merita l'Oscar.


Su due episodi è deboluccio. Quando parla dell'avvocato Mirco Mestre, l'ex sindaco di Eraclea, che si sarebbe tenuto più quattrini di quanto era stato concordato il 5% dell'ammontare complessivo per una causa relativa ad un incidente stradale e pure quando racconta del carrozziere Emanuele Zamuner che gli avrebbe tirato il bidone su una Bmw. Ma entrambi Mestre e Zamuner secondo lui facevano parte del cerchio magico di Donadio, tant'è che si rimandavano l'un l'altro i polli da spennare come Pasqual. Ma sulle minacce il racconto è dettagliato e preciso. «Ho sofferto tanto. Mi hanno rovinato la vita. Ho dovuto anche andare da uno psicologo e i miei figli sono finiti in comunità per qualche anno perché non avevo soldi per mantenerli e per tre mesi non li ho visti». Una storia - figli a parte - che è uguale a quella di tanti altri imprenditori come Pasqual che, pensando solo al lavoro e al modo migliore per fare soldi in fretta, credevano di essere più furbi dei casalesi e che si sono trovati dentro il tritacarne del malaffare. Pasqual, a differenza di tanti altri che non hanno avuto il coraggio di denunciare, è andato alla polizia e ieri è tornato in aula a puntare il dito contro il clan.

Ultimo aggiornamento: 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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