Bambina di soli tre anni infibulata in Africa dalla nonna: condanna di due anni ai genitori

Mercoledì 20 Dicembre 2023 di C.A.
Infibulazione

PORDENONEUDINE - C’era voluta la firma dell’ex ministro Marta Cartabia per procedere contro i genitori di una bimba nata in Friuli da genitori africani e sottoposta a infibulazione durante un viaggio nel Burkina Faso: il reato, infatti, è stato commesso all’estero, non Italia.

Accusati di concorso in mutilazione degli organi femminili, la coppia ieri è stata condannata a 2 anni di reclusione per lesioni aggravate in riferimento all’articolo 583 bis, che punisce coloro che, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili. Il collegio presieduto dal giudice Alberto Rossi (a latere Piera Binotto e Francesca Ballore) ha fatto prevalere le attenuanti generiche sulle aggravanti, oltre a scontare la pena di un terzo, come previsto dal rito abbreviato. È stata concessa la condizionale, estesa anche alla pena accessoria della decadenza della potestà genitoriale.


LA VICENDA


Secondo la Procura era un caso controverso. Un fatto di estrema gravità, ha sottolineato nella sua requisitoria il pubblico ministero Marco Faion, ma di difficile ricostruzione per via delle versioni contrastanti fornite da genitori e altri testimoni. Secondo il pm, non sarebbe stata raggiunta la prova che i genitori fossero a conoscenza che la nonna voleva sottoporre la piccola all’infibulazione. Da qui la richiesta di assoluzione caldeggiata anche dalla difesa, l’avvocato Luca Donadon, in particolare per il papà, che ha sempre sostenuto di essere stato tenuto all’oscuro di quelle che erano le intenzioni della nonna materna. In aula anche l’avvocato Rosanna Rovere, nominata curatrice speciale della bambina.


LA SCOPERTA


Il caso di infibulazione è stato scoperto quando la famiglia, che da tempo vive in provincia di Pordenone, ha portato la piccola di tre anni in ospedale a San Vito al Tagliamento. Aveva febbre e dissenteria. Una lesione all’inguine aveva spinto i medici ad approfondire la visita, ma la bimba era così traumatizzata che per poterla visitare avevano dovuto sottoporla a una leggera sedazione. È così che i medici hanno scoperto che la piccola paziente era stata vittima delle barbara pratica durante il viaggio in Africa. «Non è colpa nostra - si erano giustificati i genitori - È stata la nonna. Abbiamo portato nostra figlia al villaggio ed è successo». Hanno fatto ricadere ogni responsabilità sulla nonna materna, la stessa che oltre vent’anni prima ha sottoposto sua figlia allo stesso trattamento.


LA DIFESA


La difesa ha ricordato che inizialmente era stata chiesta l’archiviazione del procedimento. Era stato il gip ha ordinare un’imputazione coatta: anche se fosse stata la nonna a organizzare tutto, aveva concluso il giudice, i genitori avevano l’obbligo di proteggere la figlia sapendo quali rischi poteva correre durante il soggiorno in Africa, dove la madre della piccola è stata a sua volta mutilata. Il procedimento penale è entrato a far parte di uno studio dell’Università di Milano Bicocca grazie a un dottorato di ricerca condotto da Valentina Galvan, laureata in Giurisprudenza a Padova, ieri in aula. La sua tesi di laurea verte proprio sulle mutilazioni genitali femminili e fa un confronto tra la situazione in Italia e in Francia, dove per primi i medici hanno cominciato a fare i conti con questi rituali dalle conseguenze devastanti per le bambine e le donne. «In Italia - spiega la ricercatrici - ci sono 87mila donne che vivono con le conseguenze del taglio fatto nei loro Paesi di origine». L’infibulazione di norma avviene durante i periodi di vacanza e ancora troppo spesso viene praticata nei villaggi, senza alcuna supervisione medica, con rischi gravissimi per la salute della bambine.

Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 08:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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