Roberto, liutaio da mezzo secolo: «Sono il dottore che guarisce i violini»

Giovedì 20 Ottobre 2022 di Silvia Quaranta
Roberto Lanaro nel suo laboratorio

PADOVA - La sua piccola bottega in via Belzoni si nota appena, ma il suo lavoro è conosciuto ben oltre i confini nazionali.

Roberto Lanaro, liutaio da cinquant’anni, ha ereditato la passione e la profonda conoscenza del mestiere dal padre Luigi, portando avanti una tradizione antica di cui è ormai tra i pochi maestri al mondo. Tra le sue mani sono passati preziosi violini antichi di secoli: come un premuroso dottore (non a caso, un’altra passione giovanile era la medicina) li ha auscultati, visitati e curati, restituendoli alla vita.

Signor Lanaro, possiamo dire che lei è un figlio d’arte?

«È così. Mio papà Luigi è stato il capostipite dei Lanaro, poi anche altri parenti avevano iniziato a intraprendere la carriera. Papà ha costruito il suo primo violino quando aveva 14 anni, era il 1934. Poi ha dovuto interrompere perché c’è stata la guerra, lui era pilota d’aereo. Dopo la guerra la mia famiglia si è trasferita in Argentina. Nel ‘54 papà è stato contattato dal ministero dell’Educazione pubblica messicano per fondare la scuola di liuteria in Messico. L’ha fondata nel ‘57 e in quell’anno sono nato anch’io, a Città del Messico. Siamo rimasti lì fino al ‘72, quando siamo tornati in Italia con tutta la famiglia: c’era un progetto di formazione a Siena. Coinvolgeva i grandi professionisti che avevano fatto parte dell’Accademia Chigiana, da cui usciva anche lui. Poi il progetto fallì per malagestione».

E lei aveva già iniziato a fare il liutaio?

«Io al tempo volevo studiare Medicina, ma per iscriversi serviva il diploma di liceo e così mi ero iscritto al Fermi, cercando di recuperare gli anni indietro perché gli studi in Messico non mi erano stati riconosciuti. Era molto difficile perché l’italiano non era la mia madrelingua e tradurre il latino senza padroneggiare bene l’italiano era davvero difficile. Nel frattempo davo una mano a mio papà, che al tempo aveva la bottega in piazza dei Signori. Quando gli ho detto che mi sarebbe piaciuto seguire le sue orme, inizialmente mi ha frenato, non era contento. Diceva che avere la presunzione di fare un lavoro senza essere capaci è il miglior modo per rovinare un’attività».

Ci voleva un banco di prova.

«Ed è arrivato nell’88: il primo violino dei Solisti Veneti. Uno strumento molto importante, avevano girato l’Europa per farlo sistemare ma si prospettavano tempi molto lunghi. Io lavoravo da solo già da sette anni e mio papà, che aveva il mal d’aereo, in quel tempo era in Brasile. Mi hanno contattato e ho accettato il lavoro promettendo di terminare in due mesi, ad una condizione: che almeno una volta a settimana arrivassero senza preavviso per vedere come procedevano i lavori. Dovevano vedere il mio lavoro e riconoscerlo».
Cos’era successo al violino?
«Si era sfondato. Infartuato. Ho dovuto fare una riparazione che viene chiamata “camicia”, con un rinforzo interno. In seguito, i “guru” della liuteria anche fuori dall’Italia si complimentarono chiedendo quali tecniche avessi utilizzato».

Come “visita” gli strumenti?

«Con questo» (mostra un curioso marchingegno che ricorda lo scheletro di un violino). «È un’invenzione del mio papà, non ne esiste un altro al mondo. Qui sono stati valutati e visti più di tremila strumenti, alcuni del 1600. Con gli specchietti viene fatta una proiezione che, in base ai punti più sensibili dello strumento, mi dice le deformazioni o l’esaltazione che può avere. Non solo, posso stabilire anche se lo strumento è antico, se è in cattive condizioni o se è solo da potenziare e da sistemare».

Cosa rende speciale uno strumento?

«La fattura, ma anche la qualità stessa delle materie prime. Il legno che si usa per i violini è principalmente acero o abete. Deve avere una buona stagionatura e buona qualità, che deve essere interpretata dall’artigiano. Poi, non tutti gli abeti sono uguali, ci vuole l’abete di risonanza. Ma l’abete è un legno ermafrodito: possono esserci 50 alberi, la “madre” è di risonanza e tutti gli altri affiliati no. Come si capisce? Io l’ho imparato alla Forestale, sono stato tre giorni con loro per capire il miglior sistema non solo per selezionare ma anche per abbattere l’albero: in quale periodo dell’anno farlo, come prepararlo all’abbattimento. Il legno di risonanza, una volta individuato, viene abbattuto solo dalla Forestale perché è monopolio di Stato».

Chi erediterà questo patrimonio di conoscenze dopo di lei?

«Ho due figlie ma hanno scelto un altro tipo di carriera. Il mio sapere è in un libro di fisica acustica, “Check up di Liuteria”, che avevo iniziato a scrivere con mio padre. È il frutto di una ricerca durata una vita intera. Sono tre volumi di circa 800 pagine in tutto, la seconda parte è ancora in stesura. Il mio rimpianto è che nelle nuove generazioni trovo poca curiosità, poca voglia di studiare. Il mio libro è quasi un’enciclopedia, ma non so quanti lo studieranno».

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Ultimo aggiornamento: 15:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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