Samira, la rabbia di mamma Malika: «Giustizia è fatta, ma Barbri ci dica dove ha messo il corpo»

Mercoledì 16 Marzo 2022 di Marina Lucchin
Malika e la figlia Samira, il cui corpo non è mai stato ritrovato

PADOVA - «Dimmi dove hai messo il corpo di Samira». Mamma Malika l'aveva chiesto al genero già durante un'udienza del processo di primo grado a Rovigo, attraversando con cipiglio l'aula e avvicinandosi minacciosamente a Mohamed Barbri. Ora la donna torna alla carica attraverso il suo legale, Nicodemo Gentile, e l'avvocato dell'associazione Penelope, Stefano Tingani. «È vero, giustizia è fatta, ma ora ci deve dire dove ha messo il corpo, vogliamo poterle dare una degna sepoltura» è la preghiera della madre della 43enne, scomparsa ormai da ottobre 2019.

Per gli inquirenti e per i giudici è morta. Ad ucciderla, è stato il marito che ne ha anche occultato il cadavere. Che non si trova da nessuna parte, così come l'arma del delitto. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri è probabile che Barbri se ne sia disfatto la sera stessa che la donna è sparita nel nulla, quando il gps del suo telefonino lo posizionava lungo l'argine del fiume Gorzone a un paio di chilometri dalla sua abitazione. In piena notte e fino all'alba, dalle 4 alle 7.

Zona passata al setaccio

Eppure la zona è stata setacciata centimetro per centimetro da carabinieri e protezione civile e di Samira non è mai stata trovata alcuna traccia. Sparita, forse buttata nel fiume e rimasta incastrata chissà dove.
Ora che è stato condannato all'ergastolo anche dalla Corte d'Assise d'Appello, Malika El Abdi, arrivata in Italia due mesi dopo la scomparsa della figlia per occuparsi della nipotina rimasta senza madre, pretende dal genero una tomba su cui poter piangere Samira.
Tigani dal canto suo ha invitato l'uomo a confessare anche durante l'udienza di ieri: «Abbiamo chiesto per l'ennesima volta a Barbri di dire almeno, a questo punto, dove si trovano i resti di Samira, almeno per darle una degna sepoltura. E continueremo a farlo perché Penelope non dimentica».

Il manoscritto di Barbri

L'avvocato di Barbri, Riziero Angeletti, continua a sottolineare le continue professioni di innocenza del suo assistito, che durante l'udienza ha consegnato un manoscritto alla Corte: «Amo mia moglie, non ho mai voluto ucciderla».
«Prendiamo atto e rispettiamo la decisione della Corte - spiega Angeletti - Attenderemo le motivazione e ci prepareremo per il giudizio di Cassazione. Il nostro appello non hanno colto nel segno che tutti auspicavamo, vuol dire che rivedremo ancora meglio il tiro per il terzo grado di giudizio».
Oltre al movente duplice, quello della gelosia e del denaro della pensione di invalidità della figlia, che gestiva solo la moglie, Barbri ha rilasciato deposizioni contraddittore. Ecco perchè i giudici hanno deciso di condannarlo.

Il castello di carte crollato

Un castello di carte quello costruito dal marocchino, che è velocemente crollato una volta sentiti i testimoni. C'è prima di tutto l'alibi, creato per sviare i sospetti. Il marocchino il 17 novembre agli inquirenti aveva detto che quella mattina, su incarico del suo datore di lavoro, era andato a piedi nel terreno vicino alla sua abitazione per raccogliere del legname e bruciarlo. La sua presenza al lavoro è stata smentita visto che né il suo datore né il collega, che alle 10 di quella mattina erano passati dove lui si doveva trovare, l'avevano visto all'opera e nemmeno avevano trovato il falò con le ramaglie da distruggere. Barbri poi aveva raccontato di essersi fermato, una volta finito il suo turno, a prendere un caffè al bar Due Archi di Stanghella e di essere stato servito alla titolare orientale. Ma è impossibile: una cameriera del locale ha spiegato che la proprietaria cinese quel giorno non c'era. Nessuna prova, ma gli indizi l'hanno incastrato. È ergastolo.
 

Ultimo aggiornamento: 10:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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