«L'ergastolo a Mohamed non ci restituisce il corpo della nostra Samira»

Domenica 20 Giugno 2021 di Maria Elena Pattaro
Samira El Attar

STANGHELLA - Giustizia è fatta sì, ma alla famiglia di Samira resta il rammarico di non averne ancora trovato le spoglie. Di non poter piangere sulla sua tomba. «Siamo soddisfatti della condanna inflitta al marito ma non ci basta: rivogliamo il corpo della nostra Samira. Mohamed riveli dove lo ha nascosto». A parlare è Hannah, zia da parte di madre di Samira El Attar, la 43enne marocchina scomparsa da Stanghella il 21 ottobre del 2019. All’indomani della sentenza di ergastolo nei confronti del marito Mohamed Barbri, accusato di omicidio e occultamento di cadavere, la famiglia di lei spera ancora nella confessione del 41enne loro connazionale. 


GRANDE DOLORE
«Non sapere cosa ne è stato esattamente di Samira è un grande dolore» – dice la zia, che ha accolto in casa, nell’Altopiano di Asiago, sia la sorella che la nipotina di 5 anni, a cui Samira era legatissima.

La piccola racconta ai suoi amichetti di scuola che la mamma non c’è più, è morta. E sa che il papà è in carcere. «Per il resto cerchiamo di non parlare della vicenda in sua presenza, cerchiamo di tenerla lontana dalle notizie» – spiega la zia, anche se non è facile vista la risonanza mediatica che il “caso Samira” ha avuto a livello nazionale. Al riparo dalle notizie, quindi, compresa quella dell’ergastolo del padre. 


LA SENTENZA
La sentenza della Corte di Assise di Rovigo è arrivata venerdì sera, alle 20.45, dopo 5 ore di camera di consiglio. I giudici gli hanno tolto anche la patria potestà e lo hanno condannato al ristoro delle parti civili: 300mila euro alla suocera Malika El Abdi, 100mila allo zio di Samira, altrettanti al cognato e 3.500 all’associazione Penelope, che tutela famiglie e amici delle persone scomparse. Al risarcimento si aggiungono poi le spese legali. Il pubblico ministero Francesco D’Abrosca ha chiesto l’ergastolo per Barbri, dopo aver ripercorso in aula tutte le tappe fondamentali dell’indagine: dalla notte della scomparsa alla denuncia fatta soltanto il giorno dopo, dai teatrali ritrovamenti di oggetti che le appartenevano in luoghi già setacciati dagli inquirenti, fino alla fuga il giorno di Capodanno 2020. 


Il magistrato ha puntato tutto sulla morbosa gelosia dell’uomo, che lo aveva portato a cercare di controllare il cellulare e gli spostamenti della moglie. In un processo indiziario come questo, il movente gioca un ruolo fondamentale. E la gelosia di Barbri è un motivo che ha superato la mancanza di prove, del cadavere, dell’arma del delitto e di una confessione anche parziale. «Sono innocente» – ha ribadito lui ai suoi avvocati a udienza terminata, prima che le guardie penitenziarie lo riportassero in carcere. «Continua a dire così ma noi non ci crediamo. Non vuole dirci dove ha nascosto il corpo» – conclude zia Hannah guardando la nipotina che gioca accanto a lei. 

Ultimo aggiornamento: 08:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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