Ospedaletto Euganeo. Arsenio Facciolo, al lavoro a 87 anni: «L'azienda è come un figlio, non posso pensare di lasciarla. Senza, sarei perso»

Venerdì 15 Marzo 2024 di Marco Miazzo
Arsenio Facciolo

OSPEDALETTO EUGANEO (PADOVA) - «L’azienda per me è come un figlio, non posso lasciarla».

Ogni mattina da più di 60 anni Arsenio Facciolo, 87 anni, fa colazione e si dirige nella sua ditta, la Tecnoimpianti di Ospedaletto Euganeo. Torna a casa per pranzo, fa un riposino e il primo pomeriggio è di nuovo in azienda, fino alle sette e mezza di sera.

Definirla dedizione al lavoro sarebbe riduttivo…
«Sono il classico uomo “casa-bottega”, nella mia vita non ho fatto altro che lavorare. Sono in pensione da 32 anni, ma il mio posto alla presidenza della Tecnoimpianti non lo lascio: morirò con la mia azienda, perché per me è come essere a casa. Questa azienda l’ho costruita con i miei fratelli e oggi ci lavorano mia figlia e mio nipote. La mia vita ruota attorno a famiglia e azienda, non riuscirei mai a stare a casa con le mani in mano».

Perché non lascia che sua figlia e suo nipote prendano il suo posto?
«Entrambi svolgono ruoli fondamentali: mia figlia gestisce la contabilità mentre mio nipote si occupa dei contratti e contatti con le altre aziende. Io mantengo la presidenza per aiutarli e dare loro consiglio se serve. Ma la verità è che vengo a lavorare perché senza l’azienda sarei perso, ho un rapporto personale con tutti i 18 dipendenti, per me sono come una seconda famiglia. Anche se il futuro non so come sarà».

In che senso?
«Per quanto riguarda l’azienda, quando non ci sarò più mia figlia e mio nipote potranno anche venderla se vorranno, ma finché ci sono io non se ne parla. Per quanto riguarda il nostro settore è sempre più difficile trovare manodopera competente, arrivano molti extracomunitari ma sono poco qualificati, per quanto ci mettano tutto l'impegno necessario».

Non c’è ricambio generazionale?
«Si, i giovani sono poco attratti dai lavori manuali, tutti vogliono fare gli impiegati e lavorare con il computer, viviamo questa crisi in tutto il settore dell’artigianato. Anche con Confartigianato parliamo da tempo di questo problema e cerchiamo il modo per attrarre più giovani. Oggi nella mia azienda, che si occupa di costruire impianti agroindustriali, il lavoro non è più faticoso come quando cominciai con i miei fratelli, ci sono le attrezzature che facilitano molto il lavoro».

Il suo impegno in Confartigianato è stato riconosciuto anche dal Presidente della Repubblica…
«Sono Cavaliere Ordine al merito. Sarà stato 15 anni fa, in quel periodo ero vicepresidente provinciale di Confartigianato: si vede che qualcuno avrà visto in me qualche merito per cui propormi al Presidente della Repubblica. Da parte mia posso solo dire che mi sono sempre reso disponibile per dare un aiuto morale a quanti ne avevano bisogno. A quell’epoca ero anche vicepresidente della Banca di Credito cooperativo di Ospedaletto, ma ovviamente mai mi sarei aspettato un riconoscimento così prestigioso».

In tutti questi anni di lavoro qual è il ricordo più bello?
«Difficile dirlo, sono veramente tanti anni. Ho iniziato a lavorare a 18 anni nel 1955, avevo terminato i due anni di scuola di specializzazione e neanche due giorni dopo già lavoravo in un’azienda. Forse il ricordo più bello è stato aprire questa azienda con i miei due fratelli nel 1962. Abbiamo fatto lavori in tutta Italia e questa rimane la mia soddisfazione più grande».

E un brutto ricordo del lavoro…
«Nel 1981 mio fratello è morto lavorando in Libano, è caduto da un'altezza di 20 metri, e per me è stato molto difficile. Un altro brutto ricordo è stato 32 anni fa quando andai a fare le carte per la pensione: l’impiegata mi comunicò che non sarei più potuto andare in azienda per motivi assicurativi, ovviamente ho trovato il modo per continuare a versare parte di contributi e non smettere di lavorare. Nessuno può togliermi dalla mia azienda».

Ultimo aggiornamento: 16:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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