Violenza sulle donne, 6500 richieste d'aiuto in un anno. Il prof Crepet: «Dati mostruosi, ma è un bene denunciare»

Sabato 22 Luglio 2023 di Alda Vanzan
Paolo Crepet

Dice che è un dato «mostruoso». «Seimilaquattrocento richieste di aiuto all’anno vuol dire che ci sono quasi 20 donne al giorno vittime di violenza che decidono di non stare zitte. Dico che è un dato mostruoso, ma anche che è una fortuna che questo avvenga». Così Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, saggista, opinionista.


Professor Crepet, perché una fortuna?
«Perché comincia a prendere piede l’idea che bisogna denunciare la violenza subìta».
Sei su dieci donne prese in carico dai Centri antiviolenza in Veneto non sono immigrate, ma italiane.
«Verrebbe da dire che le non italiane, per cultura, storia, situazione familiare, neanche ci provino a denunciare.

Ma è una ipotesi, è un dato che non si può discutere».


Il 55% delle donne prese in carico dalle strutture specializzate ha un grado di istruzione medio-alto. La stupisce?
«No, perché le persone che hanno strumenti culturali e sociali sono maggiormente portate a denunciare. Le non italiane, invece, vengono da culture forse peggiori della nostra, che è già maschilista di per sé. La libertà della donna dipende dalla cultura: più hai cultura e meno accetti la violenza. E questo significa andare dai carabinieri. Per questo dico che per certi versi è un dato positivo».


Non è solo violenza fisica. Anzi, in Veneto i casi di violenza psicologica, di stalking, di cyberviolenza, stando al rapporto della Regione, sono maggioritari.
«È un dato interessante, perché storicamente la violenza “non fisica” veniva sempre dopo quella fisica, quella cioè che ti costringeva ad andare in ospedale. Ma più una donna è indipendente e libera e più è determinata. Anche a denunciare».


I dati sono in aumento: nel 2020 ci sono state 3.110 donne seguiti dai Centri antiviolenza, l’anno dopo sono state 3.450. Cosa sta succedendo agli uomini?
«La violenza non è mai solo di un uomo perché dietro a un uomo violento c’è sempre una famiglia che giustifica la violenza. E invece bisognerebbe sempre proteggere le donne».


Cosa possono fare le istituzioni?
«Le istituzioni devono continuare a seminare parole di speranza. Prima si impianta questo seme e più frutti ci saranno. L’educazione parte dalle famiglie ma deve coinvolgere le scuole e le realtà sportive».
 

Ultimo aggiornamento: 08:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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