Chiara atleta del Cus Padova: «La scoperta della pallacanestro è stata la mia rinascita»

Mercoledì 29 Marzo 2023 di Marco Miazzo
L'ATLETA - Chiara Coltri ha ritrovato la gioia di vivere grazie allo sport

PADOVA - Palla da basket in mano e stemma del Cus praticamente cucito sulla pelle, Chiara Coltri gioca come guardia per la squadra universitaria di basket su sedia a rotelle, inoltre da anni ormai guida la nazionale italiana come capitana.

Chiara lei è uno stimolo per molti giovani con disabilità perché ha trovato la forza di ricominciare…
«È stato un trauma: a 15 anni per colpa di un incidente automobilistico mi sono trovata da un giorno all’altro in carrozzina, all’epoca non ero ben consapevole ed ero nel pieno dell’adolescenza, pensavo che la mia vita fosse finita. Poi ho capito che potevo farcela anche perché potevo contare sulla famiglia e molti amici».

Questa forza gliel’ha data il basket?
«In realtà no, almeno non subito. Il mio incontro col basket è avvenuto all’università, e pensare che all’inizio ero un po’ restia a prendere parte alla squadra, sono stati i tre ragazzi che volevano avviare il progetto a convincermi a forza di insistere, sono arrivati addirittura a prendermi a casa le prime volte».

Però poi si è trovata a suo agio...
«Superata l’esitazione iniziale mi sono trovata benissimo, ho conosciuto persone meravigliose e dopo pochi mesi è arrivata la convocazione in Nazionale, il basket è diventato in pochissimo tempo la mia ragione di vita».

Come sta andando la stagione al Cus? 
«Siamo terzi nel campionato di serie B e puntiamo ai playoff per arrivare in serie A, l’anno scorso per la prima volta siamo arrivati ai playoff, ma non siamo riusciti a passare alla serie maggiore. Quest’anno stiamo facendo il possibile e domenica 2 aprile abbiamo l’ultima partita, ma se rimaniamo terzi non entriamo nei playoff perché ci arrivano solo le prime due squadre». 

Con la nazionale quali sono i ricordi migliori?
«Non sono per forza le partite che vinci, io serbo un ricordo speciale per il secondo europeo a cui ho partecipato, Francoforte 2013, che ho giocato con persone a me molto vicine e anche se abbiamo perso male conservo il ricordo di quei momenti perché ci siamo molto unite come squadra». 

Che emozione ha provato quando ha vestito la prima volta la maglia azzurra?
«Una cosa incredibile ma anche un po’ di ansia perché quando mi è arrivata la convocazione non ero sicura di essere all’altezza. Poi mi sono buttata e sono andata al ritiro, dopo quattro giorni di allenamento mattina e sera sono entrata nella squadra. È stata una soddisfazione incredibile, subito non te ne rendi conto, lo capisci un po’ per volta». 

Poi è diventata capitana della Nazionale, com’è stata l’esperienza? 
«Finora ho partecipato a cinque campionati europei, di cui tre da capitana. Il primo nel 2009 è stato molto impegnativo sportivamente perché la nostra nazionale non era ancora competitiva rispetto alle altre, ma mi ha insegnato molto. Nel 2012 la squadra e lo staff mi hanno scelta per guidare la squadra. Essere capitana è farsi carico di grandi responsabilità: devi avere il carisma per tenere unite 12 persone, essere un esempio e un punto di riferimento nei momenti di difficoltà».

Lo sport paralimpico è sempre più seguito…
«Dopo le olimpiadi di Londra 2012 ha ricevuto molta più attenzione anche a livello mediatico, anche per il basket su sedia a rotelle. I media seguono sempre di più lo sport paralimpico e personaggi come Bebe Vio e Zanardi sono diventati arcinoti portando un esempio importante a tanti bambini disabili, stimolandoli a fare sport». 

Per la disabilità fare sport è fondamentale…
«Certamente, partendo dallo sport di base. Oggi sempre più famiglie capiscono che il figlio disabile deve fare sport e non essere relegato in casa. Un disabile non è un malato, prendete me: non sono malata, sto benissimo. Lo sport permette di crescere come persone, coltivare relazioni personali e trovare soddisfazioni personali». 

Lei è anche vicepresidente del Fipic e fa parte del Cip, come state lavorando per promuovere lo sport paralimpico?
«Stiamo lavorando molto per promuovere l’educazione allo sport, fare attività fisica migliora la vita a tutti, soprattutto a chi ha forme di disabilità. Ai miei tempi a scuola per me non c’era possibilità di fare educazione fisica, dovevo rimanere in disparte. Oggi lavoriamo sulle scuole e ci impegniamo nel far nascere nuove strutture, ma soprattutto nel diffondere consapevolezza».

Per quanto riguarda la città, Padova può dirsi una città inclusiva per chi ha disabilità?
«Da quando sono arrivata in città per studiare all’università molte cose sono cambiate, di sicuro sono stati fatti importanti passi avanti nell’eliminare le barriere architettoniche.

Forse all’inizio molti di questi interventi si facevano per favorire la ciclabilità più che pensare alle persone con disabilità, ma va bene lo stesso».

Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 10:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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