Il legale dell'anziana violentata in casa di riposo: «Quell'operatore assolto in Appello poteva essere fermato»

L’avvocato bellunese Stefano Bettiol è amministratore di sostegno dell’agordina che fece la denuncia

Giovedì 16 Marzo 2023 di Olivia Bonetti
L'avvocato Stefano Bettiol denunciò Davide Barresi

BELLUNO - «Tutto questo si sarebbe potuto evitare». È amareggiato l’avvocato bellunese Stefano Bettiol, amministratore di sostegno dell’anziana agordina che denunciò di essere stata violentata da quell’operatore socio sanitario, che nel 2018 lavorava nella casa di riposo di Agordo. Lui è Davide Barresi, 54enne nato a Torino, ma residente a Catania, finito alle cronache in questi giorni per il caso degli orrori nella Rsa di San Donà di Piave nel Veneziano. È in carcere accusato di violenza sessuale aggravata e continuata nei confronti di tre pazienti di quella struttura.

Ma si poteva fermare dopo i fatti di Agordo. Ne è convinto l’avvocato Bettiol.


Come ha reagito quando ha sentito la notizia e quel nome?
«Il mio pensiero è andato subito alle vittime e alle sofferenze che hanno patito: ulteriore violenza, dopo quella già provata dalla mia assistita. Episodi orribili che forse potevano essere evitati, se solo non ci fosse stata quella assoluzione in Appello».


Ci spieghi bene.
«L’operatore in questione con sentenza di primo grado del Tribunale di Belluno era stato condannato a cinque anni di reclusione, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Erano emersi gli elementi di colpevolezza e l’anziana agordina era stata sentita in audizione protetta, con incidente probatorio di fronte al gip, per verificare l’attendibilità di quello che dichiarava e del racconto che faceva. Era stato incaricato come consulente del giudice il dottor Daniele Berto di Padova per capire se c’era l’attendibilità, visto il ritardo mentale da cui è affetta la donna. Ed è stata ritenuta credibile».


Come era nato il tutto?
«Allora ero il curatore di questa donna. Venni allertato dal personale sanitario, perché avevano percepito diversi episodi alle macchinette del caffè e in luoghi appartati. Feci subito una relazione al giudice e poi denuncia. Seguì l’incidente probatorio e il processo, con sentenza di condanna che in secondo grado venne riformata: la Corte d’Appello non ha ritenuto credibile la mia assistita ed ha assolto con formula piena l’operatore socio sanitario». 
Ed è così che si arriva alla cronaca di questi giorni, perché l’operatore ha continuato a lavorare. Cosa sarebbe successo in caso di conferma di quella sentenza?
«Era una condanna importante, ricordiamo 5 anni. Avrebbe trovato lavoro con un casellario così? Io ritengo di no. Ci sarebbe stato un atteggiamento diverso, una maggiore attenzione posto che continuava a fare quel lavoro delicato in ambiti particolari, visto che veniva a contatto con persone che sono in condizione svantaggiata e di minorata difesa».


Sarebbe finito in galera?
«Avrebbe sicuramente vissuto in uno stato di restrizione nel periodo successivo alla sentenza definitiva e diventava incompatibile nel svolgere la professione. Anche se avesse chiesto misure alternative al carcere non avrebbe potuto lavorare come oss in una casa di riposo. E quindi sì: si poteva evitare il reiterarsi di reati di questo tipo. Anzi dovevano essere evitati».


La sentenza di assoluzione ormai è definitiva, ci sono margini per avere giustizia?
«Bisognerebbe valutare bene e lo farò. L’unico mezzo che c’è è la revisione del processo, che può essere chiesta se emergono fatti nuovi o nuove prove. Le sofferenze patite dalla mia assistita sono tali che mi spingono a procedere. Ricordo che era molto turbata allora dopo quei fatti, ma in secondo grado non venne creduta. In un altro caso seguito da me nei mesi scorsi invece è accaduto l’opposto: in primo grado l’uomo venne assolto, condannato in secondo. Questo per dire che a volte, in questo tipo di processi, per reati di questo tipo, c’è una linea di demarcazione molto sottile che discrimina tra realtà fattuale e realtà processuale, che è data dal fatto che il giudicante deve valutare la versione della vittima, spesso sola nell’affrontare questa situazione, e quella del presunto aggressore».
 

Ultimo aggiornamento: 17:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci