Vajont, il sopravvissuto: «Avevo 13 anni quando venni travolto. Ricordo il rumore... e si sapeva che sarebbe successo: sulle case c'erano le crepe»

Lunedì 10 Ottobre 2022 di L.M.
Virgilio Barzan, uno dei sopravvissuti alla tragedia del Vajont
1

LONGARONE - «Avevo 13 anni quando venni travolto. Ricordo il rumore. Poi, il giorno dopo, attorno a me era tutto bianco, vuoto. Si sapeva che sarebbe successo: sulle case c'erano le crepe e così nella terra, di notte si avvertivano forti scosse di terremoto. Ma da quella sciagura non abbiamo imparato nulla. Ancora oggi si cerca solo la convenienza alla quale sacrificare tutto e tutti. Ci aspetteranno altri disastri». Virgilio Barzan, sindaco del Comune di Vajont, ieri è stata la voce di chi ha vissuto sulla propria pelle la catastrofe, ma anche la coscienza critica di un Vajont che nonostante gli sforzi commemorativi sembra non aver insegnato nulla.


BAGNI DI LUCCA E TESERO
Nello scenario sacro del cimitero monumentale, si sono alternati vari interventi civili lasciando poi spazio alla messa concelebrata dal vescovo di Belluno, Renato Marangoni.

Tante le associazioni presenti, arrivate anche da Bagni di Lucca, città gemellata, con in testa il vicesindaco Sebastiano Pacini, di Caerano San Marco e di Tesero, paesi con i quali Longarone ha stretto dei patti di amicizia, nel segno di comuni destini. Tesero su tutti, dove il 19 luglio del 1985 il cedimento degli argini dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel provocò 268 vittime. Non è mancato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà che, come ha ricordato il sindaco Roberto Padrin, non è mai mancato alle celebrazioni nel corso della sua carica prima parlamentare poi ministeriale.

Video


LA FORZA DI QUEL GIUDICE
Un D'Incà emozionato, anche perché l'intervento di ieri, sarà l'ultimo nella veste di ministro, almeno per questo mandato. Dalla «storia che non ha insegnato nulla», il ministro è arrivato a citare una delle figure chiave del Vajont: Mario Fabbri, l'allora giovane giudice istruttore che, come Davide contro Golia, riuscì a ribaltare la tesi del disastro naturale sulla quale batteva lo stuolo di avvocati della Sade, all'epoca proprietaria della diga poi ceduta all'Enel, stabilendo che si trattava invece di un disastro colposo. Era il 20 febbraio 1968 quando depositò la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Penta e Greco nel frattempo morirono, mentre Pancini si suicidò. Il 3 ottobre 1970 la sentenza d'Appello confermò la condanna solo per Biadene affiancandogli nella responsabilità anche Sensidoni. Sei anni al primo, quattro e mezzo al secondo, tre dei quali condonati. A soli 15 giorni dalla prescrizione la Corte di Cassazione, tra il 15 e il 25 marzo 1971, confermò la colpevolezza di Biadene e Sensidoni. Fu una vittoria di Fabbri nonostante l'oltraggiosa esiguità delle pene. Il magistrato, cittadino onorario di Longarone, è scomparso nel maggio 2019 all'età di 86 anni.


LA VEGLIA ALLE 22.39
Le parole di monsignor Marangoni hanno riportato le celebrazioni nel solco della spiritualità, parlando, in un contesto più ampio, di «sofferenza come attentato al bene della vita», esprimendo parole di conforto verso sopravvissuti e superstiti. Il 9 ottobre si è concluso con due momenti di raccoglimento al ponte Malcom e al campanile di Pirago risparmiato, come in un miracolo, dalla furia dell'onda. Poi, dalle 21.39 alle 22.39 la veglia ricordando quelle vittime alle quali è affidato il pesante fardello di insegnare all'uomo l'onestà e la responsabilità verso il prossimo.

 

Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 11:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci