Assolti per aver rubato in un orto dovranno essere riprocessati per ordine della Cassazione

Venerdì 1 Aprile 2022 di Davide Piol
Coltivazioni
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PIEVE DI CADORE - La giustizia può permettersi di perdere anni e anni di tempo per un furto di ortaggi? E una volta varcato il tribunale di Belluno, essere approdati in Corte d’Appello e poi in Cassazione, accorgersi che la sentenza di primo grado era stata formulata in modo errato? A quanto pare, sì. Gli imputati erano stati assolti con la formula “per particolare tenuità del fatto”, ma il giudice non avrebbe potuto farlo a causa dell’aggravante del reato. La conseguenza? Tutto da rifare. La Cassazione ha annullato la sentenza e rinviato il procedimento a Belluno per ripartire da zero, cercando (questa volta) di formulare l’eventuale assoluzione o condanna in modo corretto. Gli imputati sono Rina Del Favero, 63enne di Pieve di Cadore, e Gaetano Settin, 68enne di Longarone (entrambi difesi dall’avvocato Massimo Da Ronch). Secondo quanto raccontato dalla parte offesa (avvocato Marco Cason) e raccolto dalla pubblica accusa, la coppia avrebbe tagliato con una cesoia il lucchetto che chiudeva il cancello di accesso all’orto e poi avrebbero fatto la spesa.

Letteralmente.

Raccolti alcuni ortaggi, sarebbero scappati. Il tribunale di Belluno, con sentenza del 23 settembre 2020, all’esito del rito abbreviato, aveva assolto gli imputati ai sensi dell'articolo 131-bis del Codice penale. In altre parole, Del Favero e Settin non erano punibili per particolare tenuità del fatto. Il procuratore generale della Corte d'appello di Venezia ha proposto un ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge. Il tribunale di Belluno avrebbe applicato la causa di non punibilità, ai sensi dell’articolo sopra citato, pur non potendolo fare. Il ricorso è stato dichiarato fondato. La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile infatti solo in relazione ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore (nel massimo) a cinque anni. Nel caso in questione il reato aggravato ritenuto sussistente dal giudice - dal momento che in nessun punto della sentenza impugnata emerge l'esclusione dell’aggravante - comporta appunto una pena massima di sei anni di reclusione. Che, di conseguenza, non può ammettere quella formula. «Poiché – spiega la Cassazione – non viene in rilievo un'ipotesi di ricorso immediato, all'annullamento della sentenza segue il rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Belluno». Tutto da rifare, quindi. Dopo essere stati assolti, Del Favero e Settin vivono il paradosso di dover tornare a processo, con la possibilità che la sentenza venga riformulata (questa volta in negativo). 

Ultimo aggiornamento: 17:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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