«Non si meritava di finire così Era meglio se fosse scappato via»

Sabato 21 Novembre 2015
(m.z.) L'atmosfera è surreale all'Oasi dei padri Mercedari, il giorno dopo il ritrovamento del cadavere di Antonio Floris. Non è solo la fitta nebbia che avvolge la strutture, il centro di accoglienza, la cooperativa, i campi e gli orti a dare un alone spettrale a quest'angolo di campagna a due passi dal centro. È soprattutto il dolore che provano tutte le persone che hanno conosciuto il detenuto sardo che rende la giornata particolare.
«Era meglio se fosse scappato», commenta qualcuno a mezza bocca. L'ipotesi, che sembrava assurda, che Floris avesse deciso di non rientrare in carcere, ora sembra essere quella che i suoi amici si ritrovano a desiderare. Una sciocchezza colossale per tutti, ma almeno non la fine terribile che il sessantunenne si è ritrovato a fare. Il lavoro, nella cooperativa Mercede come nel centro di accoglienza, deve continuare, anche se il pensiero è fisso. «Lui era abbastanza riservato, non sappiamo se ci fosse qualcosa che lo preoccupava. Siamo tutti sconvolti e stupiti». Si prova a muovere le carriole, pulire gli attrezzi, organizzare il lavoro, ma il pensiero ricade sempre là. Nel centro diurno c'è animazione, turni da stabilire, attività di rieducazione da programmare e organizzare, ma lo sguardo è basso e non si scherza molto volentieri.
Cercare di parlare con le persone che lavorano all'Oasi non è facile. C'è prima di tutto l'indicazione degli inquirenti di non far trapelare nulla che possa in qualche modo interferire con le indagini, ma anche la voglia di tenere riservato il dolore. La polizia continua intanto a essere presente dentro la struttura per portare avanti le indagini. La Scientifica è impegnata nei rilevamenti, nella legnaia ma non solo. Il luogo dove è stato ritrovato il cadavere è sottoposto a sequestro, così come la bicicletta che Floris usava per andare dal Due Palazzi all'Oasi, che ormai era diventata la sua casa. All'interno della struttura infatti c'è anche la sua stanza, la camera dove dormiva quando era in permesso premio e dove passava il tempo tra un lavoretto e l'altro. A fianco dell'impegno in cooperativa per il lavoro esterno che gli era consentito dall'articolo 21, Floris infatti si faceva ben volere dai frati anche dando una mano per mille cose. Compresa la cucina, soprattutto quando dalla sua Sardegna la famiglia gli faceva arrivare qualche specialità. Desulo, il comune da cui arrivava Floris e dove vivono le tre sorelle, è infatti un paese del Gennargentu dove è molto diffusa la pastorizia e dove sono molte le specialità gastronomiche, dai formaggi ai salumi. Come cuoco Floris, che aveva anche un amico e paesano titolare di un noto ristorante tipico a Treviso, si metteva spesso a disposizione di amici, colleghi, compagni, con quella generosità che molti oggi ricordano con tristezza.
La scomparsa di Floris ha colpito anche al di fuori dei cancelli dell'Oasi. I vicini di casa della cooperativa sono rimasti scioccati dalla notizia della sua tragica morte. «Non vediamo molto i detenuti che lavorano qui - racconta un uomo che abita poco distante dall'Oasi - Lui però lo conoscevamo di vista. Aveva anche parlato durante la messa di saluto di padre Eraclio, quando si è trasferito. Parole forti di riconoscenza».

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