Povertà, l’Emporio solidale I Care di Santa Barbara lancia l’allarme: «la curva è tornata a salire».
Gli aumenti di inflazione, bollette, affitti e, soprattutto, quello dei generi alimentari schizzati alle stelle hanno deteriorato la condizione di centinaia di famiglie al punto che, aggiunge Arruzzolo: «oggi stiamo peggio di quanto non accadesse un anno fa. Sapevamo della difficoltà e non ci illudevamo troppo di un miglioramento, ma nessuno di noi pensava di dover affrontare un’altra ondata».
Confrontando i dati del primo quadrimestre del 2023 con quelli dello stesso periodo di un anno fa Arruzzolo evidenzia come: «Nel periodo gennaio – aprile 2022 avevamo ricevuto 85 nuove richieste di accesso all’Emprio, nel primo quadrimestre del 2023 97. Numeri che sembrano piccoli ma che denunciano un disagio crescente». Una crescita del 15%, arrivata all’improvviso, dopo un periodo di calma apparente: «nel quadro complesso, e di generale difficoltà, degli ultimi mesi dello scorso anno avevamo infatti assistito un rallentamento delle curva: chi era nel bisogno non riusciva ad uscire dalla necessità ma, allo stesso tempo, l’Emporio non aveva ricevuto nuove richieste».
A bussare alla porta dell’emporio «sono, in questo momento, in maggioranza stranieri provenienti dall’Africa: Ghana, Senegal, Nigeria. Stiamo cercando di dare risposte a tutti, secondo le nostre possibilità». Possibilità che, al pari delle difficoltà delle famiglie, non sempre sono sufficienti. «Credo che la questione povertà vada affrontata in maniera più seria – continua Arruzzolo -, serve concertazione, sinergia, capire come e dove intervenire: l’assistenzialismo è una medicina ma non la cura».
A dimostrazione delle falle che il sistema presenta il presidente dell’Emporio snocciola un semplice dato legato a chi, a un anno dalla sospensione della tessera dell’Emporio (la durata è di 12 mesi, l’obiettivo è quello di permettere ad un più alto numero di persone di usufruire del servizio di assistenza) si rivolge alla struttura: «Per il 60% si tratta delle stesse persone – spiega Arruzzolo -. Padri e madri di famiglia, spesso con minori a carico, che tornano a chiedere aiuto. Cosa significa tutto questo? Che non esiste una struttura organizzata in modo tale da permettere alle famiglie di essere autosufficienti».
Lavoro che manca e, anche, lavoro che rifiuta; una parte dei richiedenti aiuto appartiene infatti alla fascia 45-50: «Persone che i datori di lavoro sono portati ad escludere per un discorso anagrafico. I problemi, certo, non si esauriscono qui. Questo è uno dei tanti, importante però è cercare di dare una risposta, e spesso una speranza, ad una platea di famiglie sempre maggiore».