Cosa successe quel 18 agosto 1946
Era una giornata normale, quando normale non era ancora un aggettivo abusato. L'Italia era appena uscita da tanti anni di Guerra. In città c'erano gli alleati ango-americani. Tutto era tranquillo. Fino a quando il sorriso che sa di salsedine e l'allegra spensieratezza di 2mila persone sono bruscamente interrotti dall'esplosione di una trentina di bombe, lasciate lì da tempo, forse innescate apposta per compiere una strage.
E il mezzodi’ di sole si trasforma in incubo. In pochi minuti quell'estate perde le sue calde temperature e gela di un inverno sterminato sulla spiaggia. «La scena che mi si para davanti agli occhi è un mattatoio, c'è sangue ovunque. I corpi dilaniati, braccia e gambe staccati e riversati sull'arenile, persino sui rami degli alberi. Mi volto e il mare si è tinto di rosso. Ricordo che per il resto di quell'estate nessuno ha più mangiato pesce» racconta Cristicchi riportando le parole di una testimone di allora. Come successe per i morti del Covid, anche quella volta una lunga sfilata di camion militari trasportarono le bare coperte dal tricolore «ventuno le salme non identificate. In una bara ci sono solo giocattoli» continua Cristicchi. Morirono oltre 80 italiani, di Pola prevalentemente, e l'azione è stata interpretata da sempre come un atto di intimidazione del regime jugoslavo contro gli italiani per costringerli a lasciare la loro città.