«Sogni a occhi aperti: è la magia di Fellini»

Venerdì 17 Gennaio 2020
Moda, cinema, mostre. Anna Lombardi, costumista, ha fatto del gusto il centro della sua carriera. Classe 1962, romana, si è laureata al St. Martin's School of Art di Londra, tornata in Italia ha lavorato in decine di produzioni cinematografiche e tv anche internazionali, da Brutti e Cattivi- è stata candidata al David di Donatello - a Gangs of New York di Scorsese. Curatrice costumi di Cinecittà si Mostra, esposizione permanente degli Studios, lo sarà pure della mostra Felliniana-Ferretti sogna Fellini, nel centenario della nascita del regista, nuovo percorso di visita che aprirà a fine mese. La abbiamo raggiunta a Belfast, sul set del nuovo film di Robert Eggers, per parlare di moda felliniana.
Che rapporto aveva Fellini con abiti e costumi?
«Ne disegnava tantissimi, ci sono molti suoi bozzetti. Erano caricaturali e con essi dava l'input di esagerare certe linee e colori. Ha collaborato con vari costumisti, aveva un rapporto d'elezione con Danilo Donati, uno dei primi nel mondo ad avere l'idea della caratterizzazione del costume. Un esempio è il Casanova felliniano: il 700 è presente nella sua magnificenza ma ci sono invenzioni creative. Gli abiti femminili dell'epoca avevano una pettorina decorata con filigrane d'oro. Donati prendeva maccheroni e fusilli, li spruzzava d'oro e li applicava. Su una silhouette definita e lievemente esagerata contribuivano alla suggestione onirica».
Fellini per gli abiti femminili privilegiava linee sensuali, ma a Giulietta Masina riservava look molto diversi, facendone quasi un terzo sesso?
«A lei ha dato sempre un posto speciale. La sensualità femminile caricaturizzata, con grandi seni, non la toccava non solo perché non era donna dalle forme prosperose ma perché così lui sottolineava il ruolo diverso».
Si racconta che l'attrice avesse una stanza piena di abiti da gran sera, che non indossava perché a lui non piacevano.
«Non mi stupisce. La sua visione delle donne rispecchiava il momento storico. Oggi sarebbe profondamente criticata. Negli ultimi 4/5 anni la rappresentazione della figura femminile è cambiata, il costume sta facendo molto in tal senso. Si vuole ritrarre una donna indipendente, forte».
Il regista ha costruito ad arte anche il suo look?
«La sua immagine iconica è con cappotto, cappello, sciarpa. Non so se l'abbia costruita ad arte, di certo ha lanciato una moda. Generazioni di cinematografari italiani, tra gli anni Novanta e il Duemila, si sono vestiti come lui».
Piero Tosi, parlando del regista, ha detto: Sono anch'io un cacadubbi, e due indecisi insieme fanno disastri.
«So che quando lavorava, Fellini poteva arrivare a svegliare il costumista nel cuore della notte per parlare degli abiti».
Parlando di look e Fellini, non si può non pensare a La dolce vita, per i cui costumi Piero Gherardi conquistò l'Oscar: quale è stato il suo contributo alla moda?
«È il film di Fellini in cui la moda ha il ruolo più importante. C'è ancora uno strascico di neorealismo, ma con grande contenuto fashion, tanto che abiti del film sono iconici e vanno ancora di moda. Il neorealismo riproduceva la realtà. Tosi mi raccontò che, quando aveva iniziato a lavorare a Bellissima di Visconti, guardare ai vestiti della gente era un diktat. La Roma de La dolce vita è quella glamour della Hollywood sul Tevere. Fellini riproduce quel mondo in modo fedele e con evidente fashion sense, è come se accanto al costumista ci fosse stato uno stylist».
A Cinecittà quali costumi felliniani sono esposti?
«Quelli del Satyricon. Donyale Luna indossava una tunica nera, con reggiseno in metallo e gioiello sul capo. Poi, i costumi del Casanova. E quelli dei clown che propongono il modello ottocentesco ma con tessuto anni'70. Fellini e Donati hanno rivisitato gli stereotipi dell'immaginario collettivo».
Quale eredità ha lasciato la moda felliniana?
«L'attenzione filologica di Tosi e la caratterizzazione stilistica di Donati hanno fatto scuola nel costume a livello mondiale. Fellini regista ha influenzato un'intera generazione di registi italiani e internazionali e allo stesso modo i costumi dei suoi film hanno influenzato costumisti italiani e stranieri».
Oggi come si lavora alla creazione di costumi da film?
«Oggi le scelte sono personali, legate all'indicazione registica. La moda è meno rigida nel dettare le silhouette, è più difficile individuare una tendenza. L'epoca comunque tende a trasparire nel lavoro del costumista. Ciò che conta è che il costume racconti il personaggio».
Valeria Arnaldi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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