Quando Venezia pensò a Suez

Giovedì 3 Ottobre 2019
Quando Venezia pensò a Suez
Pubblichiamo un brano del nuovo libro di Alessandro Marzo Magno, intitolato La Splendida. Venezia 1499-1509 in libreria da oggi.

L'idea era buona: scavare collegamento tra il Mediterraneo al mar Rosso. Qualcuno ci aveva già pensato nell'antichità, quando i faraoni avevano realizzato un canale attraverso i laghi Amari e l'uadi Tumilat, un vecchio braccio secondario del Nilo, ma già ai tempi di Cleopatra il percorso acqueo si era interrato e non poteva più essere utilizzato.
Non conosciamo quando, in quell'inizio Cinquecento, a qualcuno a Venezia venga in mente di anticipare di 250 anni il canale di Suez, ma di sicuro il trattato di pace del 1503 con il «gran Turco» dà il via libera alla possibilità di pensare anche a opere ardite e costosissime.
Sappiamo invece bene quando il proposito viene abbandonato, ovvero l'11 giugno 1504, giorno in cui il consiglio dei Dieci impartisce istruzioni a Bernardino Giova, il nuovo inviato in Egitto presso il sultano mamelucco, Qaansuuh al-Ghawri, e viene tracciata una croce d'inchiostro sopra l'ordine di discutere dello scavo. Quel canale non s'ha da fare.
Il proposito di unire il mar Rosso al Mediterraneo attraverso l'istmo di Suez era ovviamente legata alle contromisure da prendere dopo che i portoghesi avevano rotto il monopolio veneziano nel commercio delle spezie circumnavigando l'Africa. Pochi mesi prima, in marzo, i veneziani decidono di mandare due persone capaci e colte, ma non veri e propri ambasciatori, uno a Lisbona, Leonardo Masser e uno al Cairo. Dovevano essere persone pratiche delle corti presso cui venivano inviate e capaci di parlare senza interprete. Per l'Egitto viene scelto Francesco Teldi, che però si ammala ed è sostituito con un altro mercante, Bernardino Giova. Non che cambi nulla, ma questo spiega la stranezza del perché le istruzioni per Giova siano ancora intestate a Teldi.
Per capire cosa sia esattamente successo è necessaria un po' di dimestichezza con le fonti archivistiche veneziane. Le misure governative venivano trascritte nei registri, una sorta di gazzetta ufficiale, e costituivano la bella copia di quel che invece si trovava annotato nelle filze. Qui il provvedimento era riportato in forma più grezza (cambiava anche il tipo di scrittura, in genere molto più chiara e intelligibile nei registri) ed erano allegate tutte le carte relazioni, minute e quant'altro che erano state consultate per arrivare alla decisione finale.
Il primo testo delle istruzioni, stilato il 24 maggio 1504, che si sarebbero dovute impartire all'inviato veneziano riporta un passo che in seguito è stato cancellato e quindi non trascritto nel registro, ma la minuta è ancora conservata tra le carte del consiglio dei Dieci nell'Archivio di stato dei Frari. Il testo dice: «A impedir et del tutto interromper la navigation de portoghesi, videlicet che cum multa facilità et brevità de tempo se potria far una cava dal mar Rosso che mettesse a drectura in questo mar de qua». Si ipotizza anche di costruire due forti a guardia degli accessi, in modo che non vi possano entrare unità navali indesiderate, e inoltre si assegna a Bernardino Giova una precisa direttiva nei confronti del sultano mamelucco: «Tu debi dir che molti de qui recordano essa cava».
I veneziani in quel momento prevedevano anche un uso militare del canale: «La qual cava facta se potria mandar quanti navili e galie se volesse a cazzar li portogalesi». La relazione ricorda che l'idea era già emersa in precedenza: «altre volte etiam fo ragionado». L'opera poteva essere realizzata con molta facilita e in breve tempo, visto che gli ingegneri veneziani avevano giacreato fosse e canali artificiali per deviare il corso dei fiumi e preservare la laguna dall'interramento e l'impresa non doveva apparire assurda dal momento che, con il trionfo del Rinascimento, era emersa la memoria di un antico percorso acqueo che nei tempi antichi congiungeva i due mari.
Evidentemente alla fine il proponimento viene abbandonato e non si ritiene utile sottoporlo al sultano, di conseguenza il passaggio sparisce nella redazione finale e ufficiale. Restano oscuri i motivi che hanno indotto la Serenissima a tralasciare il proposito. Timore per la reazione del sultano? Difficoltà dell'impresa? Chissà.
Comunque, come già ribadito, dopo qualche tempo il commercio veneziano delle spezie si rinfranca e quindi il taglio dell'istmo di Suez viene del tutto dimenticato. Il prezzo del pepe a Lisbona non è in grado di far concorrenza a quello veneziano e la sua qualita, dopo mesi e mesi di viaggio in stive umide, risulta decisamente inferiore. Quando poi, nel 1517, gli ottomani conquistano l'Egitto, i veneziani preferiscono accordarsi con i portoghesi e firmano con loro un trattato il 2 gennaio 1522.
Da due anni era cominciato il regno di Solimano I, conosciuto in Europa come il Magnifico. Il sultano intende riorganizzare i vasti territori da poco annessi e nel 1523 manda al Cairo il gran visir, nonché suo amico, Pargali Ibrahim pascia.
Scrive Maria Pia Pedani, storica che si è occupata delle relazioni tra Serenissima e Sublime Porta: «Come dice il suo nome, questi proveniva da Parga, una localita greca che era allora sotto il dominio di Venezia. Era dunque un ex suddito veneto che aveva trovato una nuova vita e una fulgida carriera nel mondo ottomano. Pietro Bragadin, che era allora bailo a Costantinopoli, divenne suo amico. I dispacci inviati dal bailo a Venezia parlano di incontri nei giardini della citta o nel palazzo fatto costruire da Ibrahim sulla piazza dell'Ippodromo (oggi trasformato in museo) e di scambi di opinioni e confidenze soprattutto su argomenti importanti per entrambi, come la presenza portoghese in India. Bragadin alle volte lamentava che il Senato o il consiglio di Dieci non gli dessero lumi sufficienti su quanto fosse giusto dire o suggerire su questo spinosissimo argomento, per cui egli era stato spesso costretto a prendere decisioni senza avere le dovute direttive.
Negli anni in cui Ibrahim fu gran visir (1523-1536) la politica veneziana fu quella di non esporsi, ma di lasciare che dei suoi uomini, fossero questi corsari come Giovanni Contarini, soprannominato Cazzadiavoli, o capitani e costruttori navali come Giovanni Francesco Giustinian, si trasferissero nell'impero ottomano per sostenere la guerra che allora i turchi combattevano contro i portoghesi. Si trattava del tacito invio di esperti navali senza che lo stato ne fosse ufficialmente coinvolto. Proprio in questo stesso periodo rinacque l'idea di scavare il canale di congiunzione tra i due mari. Nel 1529 il viaggiatore Alvise Roncignotto sosto presso gli scavi che venivano fatti per riaprire l'antico canale che egli faceva risalire ai tempi dei romani. Nel suo successivo viaggio in quelle zone, tra il 1532 e 1533, vide circa 12 mila uomini al lavoro. Ma poi il progetto venne abbandonato.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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