Lisbona, la città del «Bacalhau»

Mercoledì 20 Novembre 2019
Lisbona, la città del «Bacalhau»
Luciano Pignataro
C'è un sentimento rustico, una visione ancestrale ingiustificata, quando si pensa al baccalà, qualunque sia il modo con cui viene preparato da quella, semplice e diffusa,all'insalata con le belle olive verdi e la preparazione napoletana classica e strong, anche questa comune, che prima friggeva e poi cucinava con il pomodoro, i capperi, le olive e altri aromi segreti.
Da Venezia a Lisbona, città di mare, aperte, amanti della vita dove il sangue si mischia e non resta stagnante, con porti popolati da lavoratori, imprenditori, marinai, malandrini, contrabbandieri, amici e nemici. Cos'è l'Atlantico e cosa il Mediterraneo? Uva, olive e baccalà.
Già, ecco perché questo cibo sa di antico: non ha bisogno del frigorifero e resta amato nonostante l'omologazione rassicurante della catena del freddo. Sì, il modo più sicuro per conservare i grandi merluzzi del Nord, la possibilità di averlo a disposizione tutto l'anno, sui mercantili assediati dai pirati e sulle navi dei grandi navigatori che fecero piccolo il Mondo. Ma anche il modo per i contadini di mangiarlo nell'Allentejo o in Veneto, osservando le prescrizioni di magro del venerdì, della Vigilia e dei tempi di Quaresima oppure di divorarlo nella Alfama o nei calli. Cibo di poveri, adesso amato anche dai ricchi.
A vederla da lontano, appare strano che grandi città di mare coltivino la passione per il pesce conservato. Ma poi pensi, appunto, a quanto era pericoloso avere fame e mangiare quando non esistevano i frigoriferi. E allora si capisce che la forza di questo cibo è nella capacità di riportarlo in vita e renderlo qualcosa di meravigliosamente ghiotta. Un cibo per golosi.
In Portogallo il bacalhau, (O fiel amigo, il fedele amico) è davvero il piatto nazionale, con i sui 366 modi diversi di prepararlo, uno per ogni giornata dell'anno, compresi i bisestili. Ma c'è chi ne ha contate duemila. Povero di grassi ma ricco di proteine, è stato per secoli la merce privilegiata in Francia, Inghilterra, Olanda, Norvegia Spagna, ma solo i portoghesi ne hanno incentivato la produzione e l'esportazione su larga scala. Fin dalla prima epoca coloniale il baccalà arriva in Brasile, dove però entra nelle abitudini alimentari alla fine dell'800 con la rinomata ricetta Bacalhau Do Porto, che allieta i banchetti della vigilia del Natale e della Pasqua, come la migliore tradizione cattolica richiede.
Una delle ricette più tipiche è il Bacalhau à Brás, anche detto Bacalhau O Senhor Bras, dal nome dell'oste che lo inventò nel Barrio Alto di Lisbona. Sfilettato, è preparato con cipolla, uova, patate fritte tagliate molto fini, olive nere e prezzemolo.
Il nome? Facile da capire: kabeljauw (olandese) o kabeljau (tedesco). E quindi bacaliau, fine a baccalà, quando i portoghesi portarono in Italia il loro prodotto attraverso gli spagnoli (bacalao) anche se le prime importazioni di merluzzo conservato con il sale risalgono ai tempi delle Repubbliche Marinare.
In commercio si conoscono più comunemente due qualità di baccalari, Gaspy e Labrador. La prima proveniente dalla Gaspesia, ossia dai Banchi di Terra Nuova (ove sì pescano ogni anno più di 100 milioni di chilogrammi di merluzzi), è secca, tigliosa e regge molto alla macerazione; la seconda, che si pesca sulle coste del Labrador, forse a motivo di un pascolo più copioso, essendo grassa e tenera, rammollisce con facilità ed è assai migliore al gusto.
Sta di fatto che questo alimento diventa un riferimento in Italia dove Napoli diventail più importante centro di smercio in Italia. Come mai? Beh, si sa che i paesi alle falde del vulcano sono la dispensa della città, è qui che si concentrano, ancora oggi, i mercanti di frutta, ortaggi, semi. Anche per il baccalà è andata così e in breve tempo nel Napoletano, ma poi anche nelle altre principali cittàsi sono sviluppati negozi specializzati nella vendita di baccalà e stocco (in questo caso la conservazione avviene per essiccazione).
Tanto che Napoli è adesso il centro di maggiore consumo di baccalà. Un consumo che si è esteso anche nelle zone interne, nota la ricetta del Baccalà alla Pertecaregna in Irpinia o con i Cruschi in Lucania, soprattutto nella zona del Vulture e in Calabria dove a lungo ci sono state locande specializzate in questo piatto.
Con Ippolito Cavalcanti il baccalà viene sdoganato anche nelle cucine ricche. Non a caso il Duca di Buonvicino si dedica con precisione a questo tema nel suo trattatello in lingua napoletana, Cucina casareccia, stampato in appendice al voluminoso manuale Cucina teorico-pratica, pubblicato nel 1837 con l'intera Regola sette alla preparazione del baccalà: «Baccalà a lo tiano. Piglia sempe lo baccalà chiù duppio, e t'arraccomanno sempe la pulezia ch'è la primma cosa dinto a la cucina, lo lavarraje buono. Piglia na cepolla la ntretarraje, e la farraje zoffriere dinto a no tiano, o co l'uoglio, o co la nzogna, quanno s'è fatta rossa, nce miette no poco d'acqua, passe, pignuoli, e petrosino ntretato; farraje ncorporà ogne cosa, e quanno volle nce miette lo baccalà.»
Oggi anche l'alta cucina d'autore si è dedicata al baccalà, ma dobbiamo dire che questo cibo che ha regalato proteine ai contadini e alla povera gente da Lisbona al resto d'Europa resta un riferimento assoluto nella cucina popolare grazie alle preparazione elaborate nel corso dei secoli.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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