«La tv è in decadenza Mi rifugio nel teatro»

Mercoledì 20 Novembre 2019
L'INTERVISTA
Cinquantaquattro anni di carriera tra teatro, cinema, televisione, fiction: Leo Gullotta, l'attore siciliano, voce italiana tra gli altri di Woody Allen e Joe Pesci, riceverà questa sera a Maniago la prima edizione del Premio Vocalia/Anime doppie, il riconoscimento destinato ai doppiatori nato dalla collaborazione tra Vocalia (la rassegna musicale che celebra la voce promossa dal Comune di Maniago e curata da Gabriele Giuga) e Cinemazero. Il premio sarà consegnato al Teatro Verdi di Maniago in occasione della replica che chiude il tour nei teatri friulani dello spettacolo Pensaci Giacomino, regia di Fabio Grossi tratta da Luigi Pirandello. Voce di Manfred nel celeberrimo L'era glaciale e al Mr. Big del disneyano Zootropolis, per Gullotta il «doppiaggio non è un mondo a parte, il doppiatore è un attore che deve conoscere i vari linguaggi dello spettacolo, quindi della commedia, del dramma, del varietà, della poesia, del cinema e della fiction. Deve conoscere, studiare, prepararsi»
Lei ha doppiato personaggi di film celebri, c'è qualche aneddoto divertente che ricorda?
«Il doppiatore è un traduttore simultaneo, si studia e ci si prepara, l'uso della voce è qualcosa di importante, poi certo c'è il talento. Ma non c'è nulla di improvvisato, proprio come nelle altre forme di spettacolo. In effetti non ho ricordi divertenti, perché fare il doppiaggio è un lavoro scuro, si lavora in continuazione, in una sala buia, almeno 15-20 turni, ciascuno da tre ore e mezza».
Che Italia ricorda 54 anni fa quando ha debuttato?
«Ho iniziato questo mestiere da giovane, a 14 anni, in provincia di Catania, in anni in cui questa Italia costruiva ponti, non muri o barriere. Era un'Italia che si ricostruiva con braccia e voglia di fare, un Paese affamato e dolorante, ma col sorriso sul viso per aver acquisito la libertà».
A 73 anni, oggi, che Italia vede?
«Un'Italia molto molto problematica, si veda quanto è accaduto a Liliana Segre, una vicenda offensiva, volgare, banale, violenta. Non si riconosce nessuna nota della storia passata, vissuta sulla propria pelle da questa signora. È un'Italia che vive di slogan, nessun approfondimento, solo frasi fatte».
Pochi giorni fa è morto Antonello Falqui, il papà del varietà televisivo. Che significato ha questa perdita?
«È morto un pezzo di qualità italiana, un uomo che portò il varietà di stile in Italia assieme a Guido Sacerdote, dopo aver girato per tutto il mondo, a cui si aggiunse poi la meravigliosa Mina».
La politica e la società italiane lei ha rappresentate quando negli anni Ottanta approdò in televisione il Bagaglino, costruito con le vignette politiche, come lei le ha definite, in prima serata. Cosa accadde?
«L'Italia desiderava qualcosa di graffiante, ironico, che riservasse spazio alla politica di allora. E la politica di allora entrò a far parte della realtà di tutti. In questo spettacolo, in prima serata, sempre in diretta, frutto del lavoro di grandissimi professionisti, avveniva finalmente la smitizzazione della politica».
Forse quella smitizzazione è andata troppo oltre?
«Nient'affatto, il contrario. Oggi solo pochi continuano questo lavoro, penso a Crozza e ad Albanese, due attori e professionisti, non improvvisati, unici a fare un lavoro di questo tipo. Purtroppo la televisione si è molto svilita, ci offrono solo partite di calcio. Scuola, cultura, giovani negli ultimi trent'anni sono stati schiaffeggiati abbastanza. Però oggi i giovani sembrano non accettare più slogan, in tutto il mondo, da Hong Kong al Cile. Vogliono discutere e andare in direzione di un Paese civile. Vedere nei giorni scorsi la piazza di Bologna per ben due volte così piena di ragazzi che vogliono capire e partecipare, credo sia un segnale importante».
La comicità che promuove il dibattito sembra aver essersi spostata su nuovi media in internet..
«Nel decadimento della televisione, nel frattempo sono nate nuove realtà della comunicazione, però mi pare che somiglino molto agli antecedenti, senza un passaggio ulteriore. La televisione mi pare si sia molto abbassata di livello, io proseguo con il teatro attraverso testi che invitano a una riflessione, come con il Pirandello che stiamo portando in giro. Credo che l'attore debba e possa trovare materia di riflessione, perseguire la propria preparazione tanto più in un Paese in cui tutti sanno tutto ma nessuno sa niente e in cui si invocano i poteri forti».
Valentina Silvestrini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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