La libreria di Saba in cerca di futuro

Domenica 22 Ottobre 2017
IL LUOGO
La saracinesca si è appena rialzata a metà e subito un paio di avventori sono dentro per godersi l'aerosol tanto atteso. Aria buona, medicamentosa? Macché! Muffita, piuttosto, stantia; aria appassita come i tanti libri ammassati ovunque, lungo le pareti, per terra, su ogni cosa si riesca a farli stare in equilibrio. Pile su pile. Stiamo parlando si sarà capito di libri vecchi, di una libreria, insomma. Ma non di una qualunque, bensì di una delle più famose d'Italia: la Libreria Antiquaria Umberto Saba di Trieste. Ha riaperto, anche se soltanto per poche ore, nei giorni scorsi, dopo tre mesi di sosta forzata, dovuta a una pesante operazione subita dal proprietario, Mario Cerne.
Mario è il figlio del Carletto, il mitico commesso (prima) e socio (dopo) del libraio Umberto Saba. È lui adesso responsabile del negozio, pensionato riluttante a mantenere in vita questo polveroso monumento alla cultura che il poeta-libraio aveva ragione a definire «antro oscuro». Mario Cerne, uomo disincantato e stanco (anche di sentirsi ripetere «mi parli di suo padre, mi parli di Saba, racconti di questo luogo»), ma gentile, ha appena alzato a metà la saracinesca, che già deve stringere mani e salutare e ripetere «sì, ce l'ho fatta, ma non so per quanto ancora» e «accontentiamoci per il momento questo, poi si vedrà».
LA PASSIONE
Una fatica «da non dire», e per giunta inutile, a giudicare dagli affari. Può sembrare un controsenso, questo, perché di libri si parla molto, specie nei festival culturali, nelle fiere, se ne parla sui giornali, in tv, nei social, sempre di più. Ma un conto è parlarne, un conto acquistarli. Ne sanno qualcosa gli editori e coloro i quali i libri li vendono. Anche nel campo dell'antiquariato si batte la fiacca e, di conseguenza, i prezzi si abbassano. Sì, e vero, ci sono gli appassionati, i cosiddetti bibliofili, che quando vedono un volume impolverato e buttato in un angolo, come oggetto dimenticato, vanno in orgasmo. Ma la crisi è tale per tutti. Insomma, è difficile tirare avanti con i libri, anche se il negozio che li vende, in questo caso, è intitolato a uno dei più importanti poeti del Novecento. Mi abbasso, la testa a sfiorare la saracinesca tenuta a metà, ed entro anch'io. Gli scaffali, grondanti volumi, si perdono nella penombra, dove si indovina la libreria si estenda a contenere chissà quali polverose delizie editoriali. Sembra di trovarsi dentro una stampa di Piranesi, una delle più cupe.
Scriveva infatti, Umberto Saba, di questo negozio da lui acquistato nel 1919: «Chi me l'avrebbe detto il giorno che subito dopo l'ultima guerra, vidi per la prima volta e dall'esterno, passando di là per caso, il vero antro funesto? Ricordo perfettamente, come fosse oggi (e sono passati 29 anni) che era una magnifica giornata del giovane autunno. Ricordo anche di aver pensato, fra me e me: Che orrore se il destino mi obbligasse a passare là dentro il resto della mia vita! Cinque giorni dopo, e sempre per caso, avevo comperata la libreria».
Bene in vista, nella stanza d'ingresso, una grande foto di Saba, col suo cappotto e l'immancabile pipa in bocca. Cammina, il poeta, reggendo un bastone. È una bella immagine, al contrario del monumento che gli è stato dedicato a pochi metri dalla libreria; una statua bronzea senza piedistallo, messa lì, tra la gente, quando la città è in moto. Pare sia oggi un modo, questo, di piazzare i monumenti: nella stessa Trieste, non lontano da qui, un'altra statua, anch'essa priva di basamento e raffigurante nientemeno James Joyce, si confonde tra i passanti. A proposito dell'autore di Ulysses: per alcuni anni egli abitò nello stesso edificio in cui si trova la libreria di Saba, accanto al portone lo certifica una targa.
I PROBLEMI
Tra una pila e un'altra di volumi, ecco la Olivetti con la quale il poeta compose gran parte del Canzoniere e, qua e là, suoi ritratti a matita, altre sue foto, una con Carletto Cerne, ancor giovane, in piedi dall'altra parte della scrivania, dove Saba sta picchettando sui tasti della macchina per scrivere. «Allora, tutto questo ha i giorni contati?», dico. «Beh, magari contati no. Ma insomma», è la risposta. E dopo un esitante silenzio: «Certo, ci vorrebbe qualcosa di risolutivo. La città dovrebbe intervenire concretamente. Molti vengono a vedere. Questo è un luogo famoso. Ma pochi comprano. Del resto, questo tipo di mercanzia, a chi interessa?» «Ma gli appassionati, i bibliofili comprano», insisto. Lui ne ha fastidio. «Sì, gli appassionati acquistano - dice - ma si tratta di gente in età, che scompare di giorno in giorno. Molte librerie chiudono. Del resto, il nuovo che avanza è Google, Amazon e cose simili. Ha mai visto un giovane in una libreria antiquaria?».
Difficile dargli torto. Meglio lasciarlo ai suoi ricordi: «Da qui è passato il banchiere Raffaele Mattioli, e Giovanni Spadolini era di casa Qui, giunti a Trieste, facevano tappa Leonardo Sciascia e Umberto Eco». E oggi? «Vengono le scolaresche. Tutti in fila. Anche quattro al giorno, da febbraio a maggio, quando si fanno le gite scolastiche. Arrivano da tutta Italia. Le racconto questa. L'anno scorso in primavera vennero qui quarantacinque studenti e quattro loro insegnanti, che si dicevano entusiasti di Saba. Mostrai loro un libro in cui il componimento Trieste del poeta è tradotto in diciassette lingue. Il volume costava nove euro. Non lo presero. Fotografarono le pagine con i telefonini».
Umberto Saba se ne conosce il carattere li avrebbe messi alla porta.
Matteo Collura
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