L'INTERVISTA
Cosa facevano a Treviso agli inizi del Novecento gli Ephrikian,

Lunedì 6 Novembre 2017
L'INTERVISTA
Cosa facevano a Treviso agli inizi del Novecento gli Ephrikian, una famiglia armena?
«Nonno Giacomo era fuggito da un paese in fiamme, era scampato al genocidio. Aveva visto uccidere tutta la sua famiglia, era arrivato bambino a Venezia all'isola degli Armeni con i piedi piagati, lo ricordo tutta la vita con quelle scarpe ortopediche. Nell'isola è diventato un bravo tipografo, direttore della tipografia dove si stampano tutti i testi sacri del mondo. Era un prete mechitarista, ma si innamorò di mia nonna Laura Zasso e fu grande amore. Lei era figlia di una contessa».
Laura Efrikian, 77 anni, attrice, è stata negli Anni Sessanta la fidanzata degli italiani: prima l'adolescente nei più popolari sceneggiati Rai, poi la donna nei musicarelli, i film con i cantanti di successo. Dalla scena alla vita, è stata la moglie di Gianni Morandi. Oggi è nonna, si divide tra la pittura, i libri e i suoi bambini dell'Africa.
Torniamo alla storia d'amore del nonno.
«Non ne sapeva niente nessuno, ho scoperto tutto in un baule nascosto nel sottoscala e che mio padre aveva giurato di non aprire. Ma io era la nipote, non avevo fatto nessuna promessa ed ero una ragazzina curiosa. Così ho aperto il baule e ho trovato 66 lettere d'amore e un medaglione con le foto dei nonni e una frase incisa: Olmo e edera, l'edera sempre attaccata all'olmo. Da quelle lettere ho incominciato a voler sapere di più sull'Armenia, in Italia si sa ancora poco del genocidio».
Suo padre era un musicista famoso.
«Papà Angelo credo sia proprio una gloria trevigiana, la riscoperta di Vivaldi è stata opera sua. Mio padre e mia madre Bruna durante la guerra erano nella Resistenza, erano entrambi iscritti al Pci. Io dipingo, scrivo, faccio l'attrice, ma non sono una grande appassionata di musica, sono sorda: avendo avuto un padre, un fratello, un marito e un figlio tutti che fanno musica, io non capisco nulla di musica. La morte di papà è stato il dolore più grande della mia vita, gli devo tutto quello che so, a lui potevo fare tutte le domande del mondo. Quando vengo a trovarti mi sfogli come se fossi la Treccani, mi diceva. E' morto a Roma in casa mia».
Come era Laura bambina?
«Ho avuto un'educazione severa, per un brutto voto a scuola mio padre mi fece scrivere 500 volte sul quaderno: Col lavoro e con lo studio non si discute. Mi diceva: Fare l'attrice già non è che sia una laurea, ma che un'attrice sia pure ignorante sarebbe un disastro!. Da bambini facevamo le vacanze dai cugini Altan di Vittorio Veneto, mia zia Maria aveva solo figli maschi e per me faceva fare vestiti bellissimi con grandi fiocchi».
Lei ha girato il suo primo film proprio col nome Altan.
«Era il 1961, era intitolato Ercole alla conquista di Atlantide diretto da Vittorio Cottafavi, un gentiluomo all'inglese, sempre col suo sigaro. Mi disse che il mio cognome Ephrikian era troppo complicato, così scelsi Altan. Mi guardò dall'alto in basso e sorrise: Certo che con la tua statura potevi scegliere Bassan!. La sera ero a cena con Vittorio De Sica che mi raccontò della volta che aveva fatto il provino a una ragazza molto bella e le aveva detto che avrebbe fatto fortuna, ma che doveva cambiare il cognome. Lei aveva risposto: L'hanno a imparà!. Era Gina Lollobrigida. De Sica mi consigliò di tenere il mio cognome, ma di semplificarlo: così diventai Laura Efrikian».
Non fu un esordio memorabile
«Reg Park era un culturista inglese, grande amico di Schwarzenegger. Io ho studiato al Piccolo Teatro con Strehler. Volevo fare l'attrice da ragazzina e basta, da bambina scendevo dal letto per cercare libri in biblioteca, leggere era un po' evadere. Mio padre disse soltanto che prima dovevo finire il liceo almeno con la media del sette. A Milano per l'ammissione c'erano 400 ragazzi che volevano entrare, siamo stati scelti in 11. Ho lavorato subito con un permesso per fare il mimo in Zurlì mago del venerdì, poi ho incominciato a fare televisione».
La sua popolarità è legata all'epoca d'oro dei teleromanzi
«Ero Mary Boland nella Cittadella ed ebbi un successo incredibile, interpretavo un'adolescente guarita dal dottor Manson che era Alberto Lupo. In Rossella e i suoi cugini ero in crisi depressiva; nella Cittadella ero malata di polmonite; in David Cooperfield finalmente sono morta Di recente sono stata a Bagheria per presentare il mio libro e c'era un gruppo di signore che mi ha chiesto di firmare Dora Cooperfield, avevano un circolo che si chiamava così proprio per la mia interpretazione nello sceneggiato del 1965 con Giancarlo Giannini».
Poi è arrivato il cinema con i musicarelli.
«Erano di grande successo anche per la presenza di bravissimi caratteristi: Taranto, Congia, Bramieri, Pisu. Il primo, Una lacrima sul viso, ha guadagnato un miliardo di vecchie lire, con i biglietti che costavano 200 lire. Come attore Bobby Solo non era un partner eccezionale, ma aveva un seguito di ammiratrici che non ci lasciavano in pace. In ginocchio da te è diventato un film di culto, ritrasmesso continuamente».
Invece, con Gianni Morandi?
«Con tutto il suo bolognese era molto più simpatico, e poi faceva se stesso: il figlio di contadini. Però forse i nostri film hanno avuto più successo perché noi siamo stati una coppia cinematografica che dalla finzione è passata alla realtà. La gente ci ha accolti in pieno come coppia, ci vede ancora in coppia! Abbiamo rappresentato una generazione, siamo un'icona della giovinezza di milioni di italiani».
Come siete passati dalla finzione alla vita?
«All'inizio non volevano che si sapesse, la casa discografica temeva che le ammiratrici lasciassero Gianni. Noi abbiamo tenuto duro. Nell'immaginario delle ragazzine di allora c'era l'amore, il matrimonio, i figli. Vedendo noi, vedevano tutto questo al massimo delle possibilità. Non sapevano che erano alle porte di un cambiamento epocale della società».
Oggi fa la pittrice e passa molto tempo in Africa
«Dipingo moltissimo, soprattutto piatti di legno che vendo per raccogliere fondi per i miei bambini dell'Africa. Ne ho dipinto più di 500 ma faccio anche grandi pannelli. I bambini in Africa sfuggono a qualsiasi censimento, quelli di cui mi prendo cura a Malindi sono 115, tutti non ancora in età scolare, vengono solo per mangiare e per giocare. Per i più grandi ho istituito borse di studio per cercare di abbattere l'ignoranza terribile che c'è. Se un bambino mangia e si cura ha più speranze, avrà ricordi dell'infanzia più belli».
Come vive l'età che passa?
«L'età è quella che si vede, con interventi di chirurgia una migliora per un anno, poi la faccia cade. Vediamo dei mostri, donne che allo specchio si chiedono: Chi sei?. Ho 77 anni se finora il mio fisico mi è andato bene, perché dovrei cambiare qualcosa?».
Edoardo Pittalis
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