«La ricchezza si chiama carne»

Lunedì 14 Gennaio 2019
«La ricchezza si chiama carne»
L'INTERVISTA
«Dove c'è carne macellata o bestiame vivo c'è sempre uno di Tombolo. Uno di Tombolo è diverso, lo noti dal modo di parlare, dal gesticolare». Tombolo è stata per molti decenni la capitale veneta del mercato della carne; un paese di ottomila abitanti all'incrocio delle province di Padova, Vicenza e Treviso. «Negli Anni 60 e fino ai primi Anni '80 la sera era impossibile passare in macchina per la piazza di Tombolo, erano quasi tutti mediatori e venivano da mezza Europa. In piazza da 120 anni c'è la Trattoria dei Mediatori, i contratti si firmavano con la stretta di mano, noi siamo abituati ancora così, se diamo una parola è quella».
I cugini Giancarlo e Giovanni Pilotto, 70 e 60 anni, vengono da una famiglia che vende bestiame dalla seconda metà dell'Ottocento, quando in paese si chiamavano quasi tutti Andretta, Beghetto e Pilotto. «Siamo rimasti gli unici, Tombolo non è più quella capitale esplosa col boom degli Anni Sessanta, quando la carne a tavola era anche il simbolo del miracolo economico».
I Pilotto hanno creato la CentroCarniCompany che fattura 100 milioni di euro, cento dipendenti e una cooperativa di servizio. Nello stabilimento, che occupa 14 mila metri quadrati e sta per essere ampliato, si lavorano 70 tonnellate di carne al giorno. Si è aggiunta la produzione di centomila hamburger al giorno. Esportano in 22 paesi europei, in Cina e Giappone e nei nuovi mercati arabi. Davanti all'ingresso c'è la statua di una mucca a grandezza naturale.
«La fortuna nostra è che da quarant'anni siamo quattro soci e non abbiamo mai litigato. Abbiamo anche risolto il problema del ricambio generazionale con i nostri figli». Ecco i soci : Giancarlo, Raffaele e Giovanni Pilotto, Claudio Beghetto: tutti parenti stretti.
In ogni ufficio hanno fatto riprodurre una frase di Albert Einstein: « La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progresso l'unico pericolo della crisi è la tragedia che può conseguire al non voler lottare per superarla».
Spiega Giancarlo Pilotto: «È la nostra storia, siamo riusciti a trasformare la terribile crisi della mucca pazza in occasione di rilancio. Noi ci muoviamo col mercato, ci siamo orientati verso i nuovi consumi: facciamo le polpette, gli hamburger Bisogna inventarsi prima che succeda. Adesso pensiamo al prossimo stabilimento per fare prodotti cotti, la gente ha sempre meno tempo».
Quando incomincia la storia dei Pilotto?
«Siamo figli di commercianti di bestiame, ci sono documenti del 1880 sulle famiglie Pilotto e Beghetto e riguardano acquisti di bestiame. Si muovevano nella zona del Brennero e di Vipiteno e nella Val Venosta. Commerciavano in suini e vitelli, nel periodo invernale mandavano il bestiame in tutta Italia, fino alla Sicilia».
Come la vostra generazione è arrivata al vertice dell'azienda?
Dice Giancarlo: «Siamo partiti insieme, facevamo i compratori, gli autisti, gli scaricatori, quelli che incassavano i soldi. Giovanni, diplomato in ragioneria, è entrato in azienda dopo il servizio militare a Brescia. Ancora adesso giriamo insieme l'Europa. Da bambino questo lavoro mi è sempre piaciuto, avevamo la stalla dove scaricavamo i maiali, ogni domenica sera dovevo aiutare mio padre Umberto e mio zio a caricare i camion per l'Alto Adige. Mio padre era uomo di poche parole. Certo non è stato tutto facile: cominci a puzzare di stalla quando vai a scuola, ti vergogni di uscire. A vent'anni ho incominciato a prendere il giro dei clienti tra Trento e Bolzano, partivo la domenica sera in auto e tornavo il mercoledì. Giovedì c'era il mercato a Vicenza, lo chiamavano il mercato delle chiacchiere, oggi la chiamerebbero Borsa!».
Come è nata la vostra nuova azienda?
«Nel 1974, c'era già il cambiamento: dal bestiame vivo si passava a quello macellato, abbiamo pensato che potevamo farlo anche noi. Ci siamo messi insieme con tre famiglie, tutti parenti stretti, e abbiamo dato vita alla Tocar (Tombolo Carni). Ma cinque anni dopo ci siamo trovati davanti a un'altra rivoluzione: vendevamo anteriori di vacca sempre in osso, c'era la possibilità di venderli disossati e abbiamo preso in affitto un piccolo stabilimento non lontano dal cimitero. Allora abbiamo fondato quello che sarebbe diventato il Centro Carni Congelate, le Tre C. Abbiamo creduto nell'esportazione, il primo camion nel 1983 lo abbiamo mandato a Salonicco in Grecia. Poi la McDonald tedesca ci ha ordinato 40 tonnellate di carne alla settimana, due camion. Questo ci ha fatto venire l'idea del nostro primo stabilimento, abbiamo comperato il terreno senza avere nemmeno tutti i soldi, 500 milioni di lire versati davanti a un notaio di Treviso. Ma sbagliando ci eravamo concentrati su un solo prodotto, quasi esclusivamente vacche, e questo ci ha messo in crisi quando sono arrivate in successione la crisi russa e quella della mucca pazza. Ci siamo trovati con i magazzini pieni, avevamo 2 miliardi di merce stipata con contratti saltati. Era il 2000 e avevamo appena superato la crisi russa del rublo che ci era costata molti soldi. Ci siamo rimboccati di nuovo le maniche, trasformando e disossando equini, suini e vitelloni. C'era bisogno di centri di disosso e abbiamo provveduto. A quel punto la sfortuna che abbiamo avuto è diventata una fortuna: poteva circolare solo carne disossata e noi eravamo già pronti».
Il lavoro vi ha portato in giro per il mondo
«All'estero ho imparato tante cose, ho girato sempre accompagnato, non so parlare le lingue, ho fatto la terza media, anche l'italiano lo parlo così e così. Una volta avevamo mandato carne in Egitto, al Cairo e andiamo per fare un nuovo contratto. Ma la carne era ferma sul container a Porto Said perché chi doveva acquistare voleva pagare la metà; far tornare indietro la merce costava il doppio. Così tanti cercavano di speculare. Eravamo nell'ufficio del compratore, al decimo piano: l'ho preso per il collo, l'ho spinto alla finestra, gli ho gridato che lo buttavo giù. Il mio accompagnatore mi ha fermato: Cosa fai, sei pazzo?. Abbiano venduto l'intero carico a un altro commerciante».
Come è cambiato il consumo della carne in Italia?
«Le famiglie non sono più patriarcali. Una volta la domenica si mangiava il lesso e c'erano a tavola dieci persone. Ma i ragazzi cominciano ad apprezzare la carne, gli hamburger in particolare. Negli anni '90 gli italiani consumavano 27 chili di carne a testa, oggi siamo arrivati a 18 chili. In Argentina il consumo medio è di 70 chili. Il Veneto è uno dei più grossi produttori di carni bovina, suina e avicola, una volta in ogni paese veneto c'era un macello e in ogni paese almeno due, tre macellai. Oggi forse sono rimasti in tutta la regione cinque macellatori di bovini.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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