Fondi neri indicati da Gaiatto

Sabato 27 Marzo 2021
Fondi neri indicati da Gaiatto
L'INCHIESTA
PORDENONE Severino Pivetta ha cominciato a parlare. Il 66enne di Fossalta di Portogruaro, accusato di aver creato fondi neri per 34 imprenditori attraverso una girandola di false fatturazioni rilasciate da società cartiera che riciclavano i soldi incassati su conti correnti di Shangai, ieri mattina è stato interrogato dal procuratore Raffaele Tito. Se davanti al gip Rodolfo Piccin si è avvalso della facoltà di non rispondere, alle domande della Procura Pivetta non si è sottratto.
Nulla trapela sul contenuto dell'interrogatorio, ma l'istanza di revoca della misura cautelare in carcere, che si apprestano a presentare gli avvocati Gianpiero Porcaro e Glauco Castellani, fa pensare che l'imprenditore abbia cominciato a chiarire la propria posizione. Lo stesso percorso è stato seguito da Michele Battain, di Portogruaro, interrogato in carcere a Udine ieri pomeriggio. Renzo Bertacco, di Cessalto, dal Gip si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Marco Bonaveno, di San Michele, difeso da Bruno Cattelan, ha dichiarato che con la vicenda non c'entra nulla. E che la colpa di tutto sarebbe di un commercialista bulgaro.
LA PISTA GAIATTO
A introdurre la Guardia di finanza di Portogruaro nella galassia di società riferibili a Pivetta e agli altri indagati è stato Fabio Gaiatto, in due interrogatori resi in carcere il 14 gennaio 2019 e il successivo 12 febbraio. Al procuratore Tito spiega che aveva bisogno di «monetizzare denaro» e che era stato messo in contatto con Pivetta. Gli parla di «700mila euro andati alla Tech MS11» dell'imprenditore portogruarese: «Mi serviva per ristrutturare un immobile a Cordovado e con questa cifra avrei dovuto acquistare materiale edile... non se ne fece nulla e mi sono stati restituiti su mia richiesta dal Pivetta in contanti».
Pivetta utilizzò un tramite restituendo circa 50mila euro per volta. «Da quel che ho capito io - spiega Gaiatto - i soldi arrivavano al confine sloveno, qualcuno li consegnava e me li portavano».
La differenza tra i soldi investiti e quelli restituiti era una trattenuta del 10%: il contante serviva per restituire soldi a chi aveva investito nel forex-truffa.
Gaiatto, parlando di Pivetta, fa riferimento a «1 milione, più o meno» (880mila euro, come emerso dalla nuova inchiesta, è la somma riciclata in Cina»).
L'IRA DEL LEGALE
La pista investigativa nata dalle dichiarazioni di Gaiatto ha portato a nove indagati (tra cui i cinque prestanome per le società fittizie in Est Europa), all'individuazione di 26 società cartiere e 34 imprenditori che utilizzavano le fatture false, alla quantificazione di circa 10 milioni sottratti al Fisco e 2,8 milioni riciclati.
Se è così, l'avvocato Guido Galletti non ci sta. «Il comportamento di Gaiatto è stato stigmatizzato nel corso del processo - tuona il difensore del trader della Venice Investment Group condannato a 10 anni in secondo grado e tuttora in carcere a Tolmezzo - Questo dimostra che, al di là delle sue responsabilità, negli interrogatori ha fornito indicazioni utili. Quando ha parlato di Pivetta, qualcosa di serio e circostanziato è stato detto. Ma di questo al processo non si è affatto tenuto conto».
C.A.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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