Festeggiano tutti, in casa pentastellata. Da Luigi Di Maio a Beppe Grillo ad Alessandro

Domenica 11 Novembre 2018
Festeggiano tutti, in casa pentastellata. Da Luigi Di Maio a Beppe Grillo ad Alessandro Di Battista. Ma a ben guardare, più che una festa è una sorta di respiro di sollievo collettivo: già alle prese con l'escalation di problemi nella coabitazione con Matteo Salvini nel governo nazionale, l'assoluzione di Virginia Raggi fa dileguare lo spettro di nuove elezioni a Roma. E di una probabile debacle.
Gli ultimi mesi non sono trascorsi però senza lasciare ferite. La sindaca, la cui gestione della città è palesemente insufficiente, un po' per volta è stata lasciata sola dai vertici 5Stelle. Tant'è che venerdì, alla vigilia della sentenza, Di Maio aveva ricordato che il codice etico dei grillini «parla chiaro». Una frase che nell'entourage del vicepremier era stata tradotta così: in caso di condanna, dimissioni da sindaco o espulsione.
Di certo c'è che quando invece ieri è arrivata l'assoluzione, Di Maio e i vertici pentastellati si sono ritrovati costretti a dover individuare una via di uscita. A cercare un modo per ricucire con la sindaca. E non hanno trovato di meglio che prendersela con giornali e giornalisti, colpevoli di aver raccontato inchiesta e processo. Prima Di Maio («infimi sciacalli»), poi Di Battista sempre in trasferta in Centro America («vili puttane») e a cascata tutti gli altri, hanno scaricato sui cronisti la responsabilità dei veleni e del gelo tra il Movimento e la sindaca della Capitale.
Una reazione che ha spinto gli altri partiti (Lega esclusa) a parlare di «intimidazione squadrista», di «nostalgia del fascismo». Anche sul Quirinale l'attacco ai media e agli editori non è passato inosservato. Perché Di Maio ha importanti incarichi istituzionali: è vicepremier ed è due volte ministro (Lavoro e Sviluppo). E perché nelle ultime settimane per ben quattro volte Sergio Mattarella aveva già dovuto lanciare appelli in difesa della libertà di stampa e del pluralismo. «Principi difesi dalla Costituzione».
Nel giorno dell'assoluzione della Raggi, non c'è da raccontare solo la reazione scomposta di Di Maio. C'è da registrare Salvini che stoppa l'Opa ostile contro il Campidoglio. Ma che, una volta di più, manifesta per intero la sua insofferenza per la sindaca espressione del partito alleato di governo: «Da cittadino e da amico di Roma sono contento che non sia una sentenza a porre fine all'amministrazione. A Roma però si può fare molto meglio e molto di più. Da ministro sto cercando di fare il possibile per migliorare la qualità della vita dei romani».
Parole che si sommano alla tensione crescente con i 5Stelle su ogni dossier (dalla sicurezza alla giustizia, dalla manovra alle grandi opere, etc.). E alla prova - dimostrata plasticamente a Torino dove in quarantamila sono scesi in piazza per ribaltare il no dei 5Stelle alla Tav Torino-Lione - che gli elettori della Lega e dei grillini sono divisi e inconciliabili. Avversari perfino. E Salvini, che trattiene ormai a stento la propria insofferenza, non fa nulla per ridurre le distanze. Anzi. Tant'è che a sera, il capo della lega mette a verbale: «Un'opera cominciata è meglio finirla». E snocciola tutte le grandi opere che Di Maio, con la complicità di Danilo Toninelli, vorrebbe fermare: «La Tav, la Pedemontana, il Terzo Valico». Non ci mette la Tap, il gasdotto pugliese, perché i pentastellati l'hanno già dovuta ingoiare.
Di Maio potrà mai accettare la Tav? Quanto durerà il governo? La teoria più gettonata è che la crisi si aprirà dopo le elezioni europee di fine maggio. Ma non è da escludere che se la legge di bilancio (in primis reddito di cittadinanza e quota 100) dovesse naufragare sotto i colpi dello spread e di Bruxelles, l'epilogo sia decisamente più rapido: gennaio, con voto in marzo. I sondaggi suggeriscono a Salvini che potrebbe tornare a palazzo Chigi. E questa volta nel ruolo di premier, senza dover mediare con i grillini per lui ormai «insopportabili».
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