Bartòk e Barber le coppie in gioco

Domenica 26 Gennaio 2020
Un gioco di coppie, tanto scoperto quanto sottile e alla fine distruttivo; questo il filo che lega i due atti unici proposti dal teatro La Fenice come primo titolo del 2020. Se in A hand of bridge di Samuel Barber (nella foto) che con i suoi poco più di nove minuti è l'opera più breve sinora mai scritta il gioco di carte si mescola fatalmente con la manifestazione della solitudine dei quattro personaggi che nel bridge tentano invano di sopire la tristezza delle loro vite tanto agiate quanto vuote, nel Castello del principe Barbablù - unico lavoro teatrale di Bartók - è la sete di conoscere che porta alla distruzione dell'amore. Dittico curioso e insieme intrigante, che il regista Fabio Ceresa affronta in una visione drammaturgica tra filosofico e psicoanalitico. Grazie alle scene geniali di Massimo Checchetto, capace di sfruttare pienamente la tecnologia di cui il palcoscenico della Fenice dispone, e ai costumi Liberty di Giuseppe Palella, i due lavori trovano inaspettati punti di contatto. Se in Barber lo spazio è quello leggero di un salone che ricorda quelli delle commedie sofisticate anni Trenta, in Bartók l'atmosfera si fa ferrigna e oppressiva, dominata da una gigantesca testa che ricorda quelle dei primi re d'Ungheria scolpiti nel monumento di Piazza degli Eroi a Budapest. Il volto di pietra si apre a mostrare le stanze dietro le sette porte di cui Judit, ultima moglie di Barbablù, chiede e ottiene l'apertura causando così la propria rovina. In ciascuna delle stanze Ceresa pone un Barbablù colto in un progressivo invecchiare e che viene sistematicamente ucciso dal bacio letale di Judit: è il tempo che passa, inesorabile e distruttore. Essenziali l'apporto del disegno di luci perfetto ad opera di Fabio Barettin e i movimenti coreografici mai fini a loro stessi che Mattia Agatiello affida ai danzatori impeccabili della Fattoria Vittadini. Diego Matheuz è perfettamente a suo agio con l'essenziale complicità dell'orchestra della Fenice nell'affrontare le due partiture, cogliendo con piglio scanzonato le atmosfere swing del lavoro di Barber e mettendo ben in evidenza gli echi tardoromantici presenti nell'opera di Bartók; ne deriva una narrazione musicale ben incardinata su un procedere rapsodico e ricco di spunti ritmici interessanti.
Alessandro Cammarano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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