Baratta: «È il nostro essere Toccando le sensibilità di tutti»

Giovedì 24 Maggio 2018
IL COLLOQUIO
La soddisfazione si legge negli occhi. Missione compiuta per una mostra di architettura che sta sempre più diventando decisiva. Certo il cinema l'anima pop della Biennale, l'arte è la tradizione (in senso storico, ben si intende...), ma architettura sta diventando il fiore all'occhiello delle proposte della Fondazione veneziana.
Presidente Baratta, che cosa l'ha colpita di più in questa mostra così libera?
«Ci si guardi intorno. Basta vedere le Corderie. I toni e i colori di questo antico edificio che è tornato ad essere libero. Ogni Biennale è nuova, e ogni Biennale si rinnova. Qui vogliamo intercettare quel desiderio di architettura che ci consente di guardare al nuovo».
Uno spazio importante e che va conquistato
«Dobbiamo arricchirci valorizzando il senso dello spazio e come noi camminiamo nello spazio. Si guardino le Corderie. Le colonne, che sembrano dei giganti e che impreziosiscono questo edificio e che con il gioco di luci assumono una nuova vitalità. Quasi fossero due strumenti musicali il pianoforte e il violoncello. Insomma, musicalità degli ambienti. Prendete il Padiglione centrale ai Giardini che è stato tutto perforato per ampliare gli spazi. E tutto questo senza parlare di tecnologie. L'architettura è come l'arte: nessuna tecnologia rende obsoleta quella precedente».
Il messaggio è chiaro e va di pari passo con il rinnovamento della proposte culturali.
«Beh, il rinnovamento passa anche dal restauro appena terminato della Sala delle Bombarde con un bar-caffetteria completamente nuovo in un ambiente antico. Un impegno importante anche perchè qui noi possiamo aprire i cantieri solo tre o quattro mesi all'anno visto che nel resto dell'anno, qui ci sono mostre e esposizioni. Siamo sempre cinque minuti in ritardo...».
L'architettura ha ancora un senso politico, anche per favorire un concetto diverso, lontano dai verticismo delle archistar?
«Ci siamo impegnati in questi anni proprio coinvolgendo più Paesi. L'architettura la considero la dea senza la quale la cultura deperisce. È il nostro modo di abitare soprattutto in momenti di crisi. Ci dobbiamo rivolgere alla sensibilità di ciascuno senza delegare a terzi . La crisi di oggi è una crisi di fiducia nella possibilità di delegare a terzi i compiti. Per questo dobbiamo dare a ciascuno la possibilità di conoscenza e di fermento sulle cose. Architettura è il nostro essere, insieme a tanti altri desideri ovviamente!».
L'architettura negli anni passati però non è sempre stata così.
«Gli architetti sono stati spesso anche veri complici in alcuni casi per compiti meramente speculativi. Noi vogliamo dare un nuovo senso a questa disciplina. E lo stiamo dimostrando».
P.N.D.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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