«Aperol, la pozione magica del nonno»

Domenica 28 Aprile 2019
LA STORIA
Una storia liberale e di famiglia che ha fatto di Padova la capitale dello spritz. «L'ha lanciato mio nonno Luigi, prima era solo vino bianco con un po' di seltz, è stato lui a farlo colorato come lo beviamo oggi. Col bitter rigorosamente nostro, e poi con l'Aperol, inventato da lui proprio cent'anni fa un po' per caso», ricorda Luigi Barbieri (quarto), 71 anni, l'ultimo erede della famiglia di industriali che chiudevano gli affari con una stretta di mano: «Una volta mio padre Mario regolarizzò un acquisto di una distilleria scrivendo e firmando il contratto di vendita sul cartoncino di un pacchetto di sigarette».
LA FAMIGLIA
Famiglia importante quella dei Barbieri, di origine cimbra e sempre rigorosamente liberale: «Il primo fu il mio trisavolo, l'abate Giuseppe (i nomi nella nostra famiglia sono un po' ripetitivi). Era un tipo eccentrico, fumantino e anche un po' libertino, fraterno amico di Ugo Foscolo, che scrisse le Ultime Lettere di Jacopo Ortis proprio a casa sua a Torreglia. Fu massone e napoleonico. Deluso dalla cessione di Venezia all'Austria da parte dei francesi, scelse l'esilio, mica tanto lontano a dir la verità. Quando volle tornare a Praglia a fare l'abate, il vescovo di Padova glielo impedì per evidenti motivi politici. E allora per vendicarsi passò le ricette dei liquori che i frati benedettini distillavano al nipote Luigi e nacque la nostra prima fabbrica, se non sbaglio era il 1805, o forse il 1806».
Il Luigi Barbieri IV se la ride, occhiali e occhi chiari vispi, racconta la storia della sua famiglia in un luogo fondamentale della storia di Padova, il caffè Pedrocchi. «Mio bisnonno Giuseppe, figlio di quel Luigi, veniva sempre qui a bere il caffè. Non ha mai preso la tessera del partito, come si diceva in famiglia era liberale, antifascista e rompiballe. Un tipo che a un certo punto disse ai figli Luigi e Silvio: «Dovete trovarvi un lavoro». Rimasero basiti: «Ma noi lavoriamo già qui». «Ho trovato da vendere la fabbrica». E quelli per non perdere il posto firmarono una tonnellata di cambiali che lui puntualmente ogni inizio del mese veniva a incassare rigorosamente in contanti. E l'azienda da allora, doveva essere il giugno 1915, si chiamò F.lli Barbieri». Un tipo da prendere con le molle quel Giuseppe.
«Già, quando nel 1928 fu imposto l'obbligo di alzarsi in piedi e togliersi il cappello al passaggio delle squadracce fasciste, lui, che non aveva mai posseduto un cappello, ne comprò uno, se lo incalcò in testa e si mise a leggere la Voce Repubblicana seduto fuori dal Pedrocchi. I fascisti lo pestarono, lui tornò a casa e morì, forse soprattutto per l'affronto subito».
I RICORDI
Luigi Barbieri (quarto) è un fiume in piena, serve uno stop, c'è da riavvolgere il nastro dei ricordi. Come spunta fuori l'Aperol? «Ah già, l'ha inventato mio nonno Luigi. Nel 1918, prima guerra mondiale, subì un attacco con i gas sul Carso: gli asportarono un polmone e mezzo ma ce la fece. In convalescenza andò nel 1919 a Cortina, hotel Posta che allora non era mica di moda. Era primavera. Per riprendersi faceva delle sane passeggiate in montagna dove raccoglieva erbe, fiori, bacche. Decise di metterle insieme, pestarle, bollirle, e venne fuori un liquore leggero e buono». L'Aperol? «Esatto. Il nome lo partorì suo fratello Silvio, quello che era stato a Parigi, mutuandolo dall'argot parigino Aperol, che vuol dire proprio aperitivo. Fu un successo, tanto che tentarono di copiarcelo tutti. Venne assunta anche una squadra di investigatori che girava i locali d'Italia assaggiando l'Aperol nei vari posti per trovare quello contraffatto».
La formula dell'Aperol, presentato per la prima volta alla fiera di Padova proprio 100 anni fa, nel 1919, era segretissima. «Il brevetto la famiglia l'aveva registrato qui a Padova, ma siamo andati anche in Argentina per tutelare il nostro prodotto», ricorda Luigi che sciorina anche i vecchi cartelloni pubblicitari dell'epoca, disegni futuristi, signore elegantissime.
LA PUBBLICITÀ
Poi, la guerra e il dopo. «La fabbrica era distrutta, mio nonno Luigi muore nel 1947, Silvio diventa amministratore unico e negli anni 50 se ne va all'altro mondo anche lui, e tocca a mio padre Mario - ricorda Luigi Barbieri - che lancia l'Aperol anche con la pubblicità. Fummo tra i primi a farla in tv. Ci dicevano: il vostro è un aperitivo per signore, ma lui era invece convinto che il pubblico giusto fosse quello dei giovani. E negli anni 60 partirono le reclàme di Carosello con Mina, Sergio Endrigo. E arrivò quella con lo «smemorato» Tino Buazzelli, l'attore che s'inventò la famosa battuta: «Ah! Aperol». Credo che con i soldi di quella pubblicità gli risolvemmo molti problemi, anche se alla fine per lui divenne un marchio. Una volta andai a Milano a vedere un suo spettacolo. Prima dell'inizio lo salutai in camerino, fu molto contento di vedermi. Poi però in scena uno del pubblico in un momento di silenzio gli lanciò la frase del Carosello, Ah! Aperol. Si arrabbiò così tanto che piantò in asso tutti e smise di recitare. Credo che quella pubblicità divenne per lui una maledizione». Allora però la più famosa era quella di Ernesto Calindri per il Cynar, altro liquore veneto. «Mio padre conosceva bene Angelo Dalle Molle e lo ringraziava sempre: pare che dopo ogni loro Carosello s'impennassero anche le vendite di Aperol. Nessuno capì mai perché».
La Fratelli Barbieri in ogni caso prende il volo e a fine degli anni 60 va a 70 miliardi di lire di fatturato. Ma sono anche anni duri, arrivò pure il terrorismo. «Io volevo fare la mia strada, me ne andai a studiare alla London School of Economics, lavoravo come cameriere per mantenermi. Bei tempi, mi son visto anche il concerto dei Beatles sul tetto della Apple - ricorda Barbieri -. Laureato nel 1972 l'azienda chiamava ma io volevo fare la mia strada, almeno fino a quando potevo. E andai a lavorare nello studio del commercialista Antonio Guizzardi, presidente della banca Cattolica del Veneto. Il mio maestro. Mi specializzai in ristrutturazioni e affari internazionali. Mio padre pretendeva che tornassi in azienda, io volevo rimanere libero e fare il commercialista. In uno dei miei soggiorni in Canada, dove andavo per lavoro, all'inizio degli anni 80 incontrai quelli della Seagram, che volevano comprare la Barbieri. Allora facevamo 80 miliardi di lire di fatturato, utili consistenti, ma eravamo arrivati al massimo del nostro sviluppo in Italia, dovevamo crescere all'estero. Eravamo tanti cugini che avevano preso strade diverse. Decidemmo di trattare. Loro ci offrirono una botta di soldi. Anche il pagamento anticipato degli utili di altri tre anni e la garanzia del posto assicurato a tutti i nostri 80 addetti. Mio padre diede il via libera. E i canadesi pagarono in contanti». Quanto? «Mah, tra una cosa e l'altra credo 80 miliardi di lire». Che nel 1983 erano ben più dei 40 milioni di euro al semplice cambio di oggi. Con la sua parte che ci ha fatto? «Niente di speciale, forse mi sono comprato qualche quadro - fa sornione Luigi Barbieri IV -. Ho continuato a lavorare sviluppando il mio studio che oggi ha 180 persone».
LA POLITICA
Tra i suoi maestri anche Antonio Marzano. «Un galantuomo, grande economista, grande ministro e cattivo politico». Lei era liberale anche in politica? «Sono stato un Giovane Liberale quando a guidare l'organizzazione c'era l'attuale presidente dell'Abi Antonio Patuelli. Con me c'erano anche Giancarlo Galan e Antonio Ghedini - risponde Barbieri -. Fu proprio Galan a offrirmi un posto da senatore nel 1994 in Forza Italia. Declinai. All'indomani della prima sconfitta elettorale, mi sembra nel 1996, entrai nell'ufficio di Galan. Era solo. E scoraggiato. Mi chiese cosa volessi. Iscrivermi al partito, gli dissi. Pensava che lo stessi prendendo in giro. Invece rimasi iscritto per un decennio, poi me ne andai: erano democristiani travestiti da liberali, con Galan ho rotto per questioni personali ben prima che scoppiasse il caso del Mose». Di Forza Italia non salva proprio nessuno? «La Casellati: persona in gamba, la vedrei bene come prossimo presidente della Repubblica». Ma questa è un'altra storia. Quella dell'Aperol ora passa per la Campari. «Sono contentissimo che l'abbiano presa loro, sono seri e hanno rispetto per le tradizioni. Pensi che nell'etichetta c'è ancora perfino il mio nome». Questa galoppata lunga cent'anni si chiude senza aver bevuto un aperitivo (tradimento!?) e con un'ultima domanda: cosa vuol dire per lei liberale? Luigi Barbieri fa un'espressione a metà tra lo sbarazzino e il volitivo: «Avere rispetto prima di tutto per se stessi e poi per gli altri e le loro idee», la risposta asciutta di uno che ha sempre seguito la sua strada. Anche se non era quella di famiglia.
Maurizio Crema
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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